Annotazione 15
Il vento che ha portato l’uccello soffia forte da sud, spingendoci a nord. Ogni giorno l’aria diventa più fredda. Ora scrivo avvolta in una coperta, vedo il mio respiro e le dita mi si irrigidiscono. Il mare è verde scuro e stranamente fermo, come vetro. Intorno a noi galleggiano frammenti di ghiaccio che scintillano nel sole con riflessi bianchi e blu. Alcuni sono piccoli, ma altri sono grandi come isole. I marinai scuotono la testa: la corrente e il vento ci hanno portato troppo a nord. Alcuni borbottano qualcosa sul grande uccello e guardano queste isole galleggianti con cupa apprensione.
La bellezza del ghiaccio è ingannatrice. La maggior parte della massa è sotto la superficie e può squarciare lo scafo di una nave come fosse roccia. Jonah Morse ha l’occhio attento alle meraviglie, e sebbene sia cosciente del pericolo, è eccitato. Mi ha detto che ha già visto cose del genere durante un viaggio di mare verso il paese dei moscoviti. Le isole di ghiaccio sono belle, in particolare all’alba e di sera, quando il sole che sorge o tramonta colora le superfici di rosa e miele. Sembrano grandi rocce, o dirupi di qual-che terra desolata, con le loro grotte e gallerie blu scuro.
La nave ha rallentato fin quasi a fermarsi. I marinai scandagliano, gridando la misura della profondità nel silenzio gelido; il capitano vaga da un capo all’altro del ponte, tirandosi la barba, con la fronte corrugata. Di tanto in tanto dà qualche ordine, subito ripreso da urla brusche e dal fischietto del nostromo, mentre la nave scivola tra le scogliere immacolate che s’innalzano da un mare di un blu quasi nero.
Annotazione 16
Le isole di ghiaccio sono più frequenti ma più piccole ed è più facile per la nave farsi strada tra loro. Comunque fa ogni giorno più freddo. Il ponte è scivoloso e si forma brina sul sartiame. Regna una strana calma. Non c’è un alito di vento. Il ghiaccio appesantisce le vele che pendono dai pennoni, pronte a catturare ogni accenno di brezza. I passeggeri borbottano, ma il capitano dice che non c’è ragione di allarmarsi; però siamo molto più a nord di quanto lui avrebbe voluto. A volte sembra che siamo destinati a navigare su queste gelide acque scure per sempre, vagando per l’oceano come il grande uccello che abbiamo visto, senza mai più toccare terra.
Annotazione 17 (maggio? 1659)
Siamo a nove settimane da Southampton. Il grande uccello può vivere di mare e dei suoi prodotti, ma noi no. Il cibo sta per essere razionato. Ha piovuto poco, perciò nei barili il livello dell’acqua è basso e cresce il muschio. I passeggeri sono preoccupati: temono che una volta raggiunta la terraferma, la stagione della semina sarà passata e non resterà tempo per costruire case e ripari prima dell’inverno americano, che a quanto si dice può essere duro.
Il reverendo Elias Cornwell ha riportato tutto questo nel suo diario. Non ha più bisogno di me come scrivana, ma devo comunque fargli rapporto ogni giorno. Lui rimane nella sua cabina, passando il tempo in preghiera e meditazione, in cerca del segno di Dio in ogni notizia che gli porto. Siamo molto fuori della nostra rotta e ci siamo persi in una desolazione di ghiaccio. Dobbiamo aver fatto qualcosa di male, aver peccato, peccato gravemente, per esserci guadagnati il Suo disappunto. O è così, oppure c’è a bordo una strega, una serva di Satana che esercita qualche maledizione. Si volta, fissandomi con quegli occhi incolori.
«Cosa ne pensi, Mary? Non potrebbe essere?»
Il sangue mi si gela nelle vene e prego il mio cuore di restare in silenzio.
«Penserei» dico misurando le parole, cercando di impedire alla mia voce di tremare, «che se la nave dovesse affondare, lei morirebbe come chiunque altro».
«Bah» sbotta lui, scoprendo i grandi denti gialli. «Questo è quello che loro vorrebbero farti credere, ma invece galleggiano! Possono fuggire dalla
nave a bordo di un setaccio. Il diavolo protegge i suoi». Mi fissa di nuovo con i suoi occhi pallidi. «E chi ha detto che è una donna? Può essere un uomo. Può essere che uno stregone sia in viaggio con noi. Pregherò perché si rivelino. Nel frattempo proclamerò un giorno di digiuno e umiliazione. Dobbiamo implorare il perdono divino».
Faccio una riverenza e lo lascio. Il digiuno non sarà un sacrificio. La carne viene fuori dai barili verde e puzzolente; l’avena è ammuffita e non si addensa; i piselli restano duri come pallini da fucile, non importa quanto tempo si lascino a mollo, e le dure gallette della nave sono più scarafaggi che biscotto.
Annotazione 18
Al digiuno e alla preghiera deve seguire una funzione sul ponte, e bisogna tenere una veglia finché non saremo liberati dall’attuale disgrazia. Il capitano ha acconsentito alla prima richiesta, i passeggeri possono morire di fame se vogliono, al limite ci sarà più cibo per lui e per l’equipaggio, ma non permetterà che si faccia la veglia. Dice che così tanta gente intralcerebbe il lavoro della nave. Il suo rifiuto è stato accolto da molte proteste, perfino tra la ciurma. Le paure e le tensioni, messe da parte per tanto tem-po, stanno riemergendo, anche nei marinai.
Per tutto il giorno hanno continuato a diffondersi l’irrequietezza e il malcontento, veloci come il fuoco tra la legna secca. Le lamentele passano di bocca in bocca, soffiate come scintille nel vento. L’importanza della veglia si è ingigantita, al punto che da questa dipende tutto: il successo del viaggio, la sopravvivenza del vascello, le nostre stesse vite.
All’ora stabilita, Elias Cornwell ha condotto il suo gregge sul ponte. I marinai guardavano dalle sartie, o allineati lungo il parapetto del cassero di poppa. Il reverendo Cornwell è andato sul cassero, il regno del capitano. È salito per la breve scaletta e si è avvicinato al capitano. Questi all’inizio non si è voltato: stava in piedi, una figura robusta e forte, gambe divaricate, mani allacciate dietro la schiena. L’uomo più giovane gli si è fatto accanto, sovrastandolo in altezza. Il capitano allora si è voltato, grattandosi la folta barba riccia e grigia, guardando verso l’alto con occhi stretti, come se aspettasse un’ispirazione dal sole. Cornwell, rasato e pallido come gesso, lo fissava, preparandosi a parlare.
Teneva il cappello in mano, rigirando la tesa tra le sottili dita bianche, ma con l’atteggiamento più di chi afferma che di chi chiede. La risposta del
capitano non è arrivata subito. Si è allontanato di alcuni passi, con le mani sempre allacciate, una chiusa dentro l’altra. Poi ha girato sui tacchi ed è tornato indietro. Tutti gli occhi erano puntati su di lui: quelli del reverendo Cornwell, quelli dei passeggeri e quelli dell’equipaggio. Il capitano ha ricambiato lo sguardo. È la sua nave. La sua parola è legge. Cedere potrebbe essere visto come segno di debolezza. D’altra parte, il capitano è un uomo saggio. Acconsentire non gli costerebbe nulla; rifiutare potrebbe costargli la nave.
I passeggeri e l’equipaggio erano così accalcati sul ponte principale che era difficile muoversi. Elias Cornwell ha guardato in basso verso di noi. Accanto a lui stavano gli Anziani, alle sue spalle c’era il capitano con i suoi ufficiali. Era a disagio e probabilmente stava maledicendo la sfortuna di avere un prete a bordo.
Noi stavamo in piedi, a testa china e mani giunte, e la voce profonda di Elias Cornwell ci sovrastava, invocando la divina Provvidenza, implorando la Sua misericordia, pregando per la salvezza, per un segno del fatto che eravamo di nuovo nella Sua via. All’improvviso il torrente di parole si è arrestato. Ho aperto gli occhi e guardato in su, cautamente, chiedendomi cosa avesse causato l’interruzione. Lui era in piedi, con la testa all’indietro, il petto in fuori e le braccia spalancate. Assomigliava alle incisioni che avevo visto di Gesù sul lago di Galilea.
«Abbiamo chiesto un segno. Ora abbiamo quel segno. Guardate, fratelli miei, guardate!»
L’ho visto nei suoi occhi, negli occhi di quelli al suo fianco. Mi sono voltata e gli altri con me.
«Le Lance di Fuoco!»
«I Danzatori Allegri!»
«Le Luci del Nord!»
Hanno un nome diverso in ogni posto. Io non ne conoscevo nessuno, e nemmeno la ragazza accanto a me. I suoi occhi grigi si sono spalancati, la sua mano è corsa alla bocca. Anche per molti altri lo spettacolo era nuovo. I puritani di solito non si inginocchiano, ma molti l’hanno fatto, sopraffatti dalla meraviglia. Tutt’intorno a me c’erano dita intrecciate contro la magia, mani che tracciavano croci, bocche che mormoravano preghiere alla Ver-gine. Una tale stranezza ha riportato molti alle loro antiche credenze.
Luci colorate si stagliavano nel cielo del Nord, lampeggiando e balenando, mutando nelle tinte dell’arcobaleno dal meridiano allo zenit: dal rosso sangue al rosa, dal giallo zafferano alla tenera primula, dal verde pallido all’acquamarina, fino all’indaco più scuro. Grandi fasce e veli di colore avvolgevano i cieli, sorgendo e calando come la luce vista attraverso una cascata. Lunghi raggi sprizzavano tutt’intorno, come se Dio avesse messo il pollice sul sole.
«Non vedete? Mio popolo, fratelli miei, non vedete?»
Elias Cornwell piangeva, con i colori che cambiavano sulle sue guance, trasformate in specchi dalle lacrime. Dove noi vedevamo luci, lui vedeva qualcosa di completamente diverso. Vedeva la Città Celeste.
«La vedo! La vedo davanti a me!» A metà tra una pena soffocante e una risata di meraviglia, la sua voce si è spezzata. «’Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo’. Così dice san Giovanni, il divino! E così è! Tutto è fatto di luce, con cancelli di perla e mura alte e scintillanti! E le mura sono adorne di ogni specie di pietre preziose, diaspro e zaffiro, calcedonio, topazio, berillo e ametista! E oltre le mura vedo tetti splendenti e cupole d’oro e spirali luminose…
«’… Un arcobaleno simile a smeraldo avvolgeva il trono… Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo…’
«Non posso più guardare!»
Si è ritratto, alzando il braccio a proteggersi gli occhi, come se davvero potesse rimanere accecato. Le luci infuriavano e molti sono corsi verso un lato della nave, sperando di cogliere un accenno della visione che lo incantava. Alcuni gridavano che anche loro potevano vedere, altri sono rimasti dov’erano, presi da una specie di estasi, tremando e agitandosi come quac-cheri.
Il capitano osservava tutto questo con crescente allarme. Una buona parte dei suoi passeggeri sembrava essere impazzita all’improvviso, e tante persone da un solo lato minacciavano di capovolgere la nave. Ha ordinato ai suoi marinai di tornare ai loro posti e ai passeggeri di andare sottocoperta. Per un momento è sembrato che tutti lo ignorassero, ma i marinai si sono scossi e quelli non coinvolti in quello stato d’animo diffuso hanno persuaso gli altri a scendere di sotto prima che il capitano ordinasse di usare la forza.