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Annotazione 1 (primi di marzo? 1659)
Mi chiamo Mary.
Sono una strega. O meglio, qualcuno mi chiama così. «Figlia del diavolo», «strega bambina» mi sibilano per strada, anche se non conosco né mio padre né mia madre. Conosco solo mia nonna, Alice Nuttall: Mamma Nuttall per i vicini. Mi ha tirata su da quando ero piccola. Se per caso sapeva chi erano i miei genitori, non me l’ha mai detto.
«Figlia del re degli elfi e della regina delle fate, ecco chi sei tu».
Viviamo in una casetta al limitare della foresta, nonna, io, il suo gatto e il mio coniglio. Vivevamo, cioè. Ora non ci viviamo più.
Sono venuti alcuni uomini a trascinarla via. Uomini con giacche nere e cappelli alti come campanili. Hanno infilzato il gatto su una picca, hanno spaccato la testa al coniglio sbattendolo contro il muro. Hanno detto che quelle non erano creature di Dio ma demoni, il diavolo stesso camuffato. Hanno gettato quella massa di carne e pelo nel letame, e hanno minacciato di fare la stessa cosa a me e a lei, se non confessava i suoi peccati.
Poi l’hanno portata via.
L’hanno rinchiusa in prigione per più di una settimana. Prima l’hanno fatta camminare a passo di marcia, su e giù, su e giù in mezzo a loro, per un giorno e una notte, finché non è più riuscita nemmeno a zoppicare, tanto aveva i piedi gonfi e sanguinanti. Non avrebbe confessato. Così hanno deciso di dimostrare che era una strega. Hanno chiamato una donna che l’ha infilzata con lunghi spilloni in cerca del punto insensibile, senza sangue, dove si nutrivano i demoni. Gli uomini intanto guardavano quello che faceva la donna, e mia nonna era costretta a stare di fronte ai loro occhi maligni, una vecchia signora nuda, privata del pudore, della dignità, con il sangue che le scorreva lungo tutto il corpo. Eppure non confessava.
Hanno deciso di buttarla in acqua. Sapete, avevano un sacco di prove contro di lei. Tante. Per tutta la settimana era venuta gente a lanciare accuse. Lei gli aveva gettato il malocchio, portando la malattia al loro bestiame e alle loro famiglie; aveva usato la magia, infilando spilloni in figure di cera per indurre la disgrazia; si era trasformata e aveva scorrazzato per la campagna sotto forma di una grossa lepre, cosa che le riusciva grazie a una pozione fatta con il grasso sciolto dei cadaveri. L’hanno chiesto a me. «È così?» Lei dormiva nel letto accanto a me tutte le notti. Come faccio a sapere dove la portava il sonno?
Tutte bugie. Assurdità e bugie.
Le persone che l’accusavano erano i nostri amici, i nostri vicini. Venivano da lei a chiedere il suo aiuto per le bestie e i bambini malati o feriti, o per una donna sul punto di partorire. Perché conosceva le erbe e le pozioni, ma il potere veniva da lei, non dal diavolo. La gente si fidava di lei, o almeno l’aveva fatto fino a quel momento, aveva cercato la sua presenza. Nascita o morte, mia nonna era chiamata ad assistere nel passaggio da un mondo all’altro.
Erano tutti lì per la prova, in piedi sulle due rive del fiume, in fila sul ponte, con lo sguardo fisso sul punto in cui l’acqua è profonda e scura. Gli uomini con i cappelli alti hanno trascinato mia nonna fuori dal buco puzzolente in cui l’avevano tenuta. L’hanno legata a gambe incrociate, con l’alluce destro legato al pollice sinistro e viceversa, assicurandosi che le corde fossero ben tirate, poi l’hanno gettata dentro. La folla guardava in silenzio. L’unico rumore era quello dei passi che avanzavano per vedere cosa lei avrebbe fatto.
«Galleggia!»
Prima fu l’osservazione di una persona, fatta a bassa voce quasi in tono di meraviglia, poi la voce passò dall’uno all’altro, finché tutti finirono con l’urlare insieme, come un essere mostruoso e ululante. Galleggiare era prova certa di colpevolezza. La riagganciarono e la trascinarono a riva come un mucchio di vecchi stracci. Non volevano che affogasse, per non privare la gente di un’impiccagione.
Annotazione 2
È una giornata fredda, anche per l’inizio della primavera. Brina bianca sul terreno e appena un po’ di verde sugli alberi, ma sono venuti anche da lontano per l’impiccagione. Affollano la piazza peggio che nel giorno di mercato.
Per me è pericoloso stare qui. Li vedo che mi guardano e sussurrano: «È lei, la nipote», «Figlia del diavolo, piuttosto» poi si voltano ridacchiando, con le mani sulla bocca e le facce rosse per le immagini laide che vedono nella loro mente. Il male è dentro di loro.
Dovrei fuggire, scappare via. Se non lo faccio se la prenderanno con me. Ma dove? Che devo fare? Sparire. Morire nella foresta. Mi guardo intorno. Occhi induriti dall’odio sfuggono i miei. Labbra contorte tra divertimento e malignità. Non scapperò nella foresta, perché è questo quello che vogliono.
Ora guardo dritta davanti a me, verso la forca. Hanno martellato un giorno e una notte per tirarla su. Si sente l’odore del legno appena tagliato anche da dove sono io, alle spalle della folla.
Che poteri credono che abbiamo, mia nonna e io? Se lei li avesse sul serio, non sarebbe forse capace di aprire le serrature di quell’antro puzzolente e volare via, al sicuro? Non evocherebbe il suo padrone, Satana, per incenerirli tutti con un fulmine? E se io avessi dei poteri, li distruggerei tutti, qui e adesso. Li trasformerei in una massa di rospi fornicanti. Li trasformerei in salamandre cieche e li obbligherei a mangiarsi l’un l’altro. Coprirei i loro corpi di piaghe purulente. Li maledirei di generazione in generazione, per l’eternità, così che i loro figli e i figli dei loro figli generassero idioti sogghignanti. Farei marcire le loro teste, corromperei l’interno dei loro crani fino a fargli colare il cervello dal naso, come muco sanguinolento…
Ero così persa nelle mie maledizioni che solo l’improvviso silenzio della folla mi riportò a ciò che stava per accadere. Sagome scure, in piedi sulle tavole chiare, si stagliavano contro il bianco del cielo: il cacciatore di streghe, il sacerdote, il boia. Nella quiete improvvisa risuonò forte uno starnuto. La figura sottile di Obadiah Wilson si piegò in avanti, tremante. Prese un fazzoletto dalla tasca e se lo tenne davanti alla faccia, scosso da una serie di starnuti. Quando se lo tolse la folla trattenne il respiro, mentre il sangue stillava denso sul lino candido come la neve. Era l’unico colore visibile sulla pedana.
Mia nonna venne portata davanti alla folla. Aveva le mani legate dietro la schiena, e la spinsero ai piedi della scaletta che portava al patibolo. Ignorò gli occhi puntati su di lei e guardò al di sopra delle teste, cercandomi. I suoi occhi incontrarono i miei e sorrise. Il suo sguardo andò a Obadiah Wilson, auto nominato Cacciatore di streghe, che tentava di fermare il sangue che gli scorreva dalle narici, e annuì appena, come a dire ‘ben fatto’. Annuì ancora a qualcuno dietro di me.
Fu l’ultima volta che la vidi. Il boia fece un passo avanti, sollevando il cappuccio per coprirle il viso, e in quel momento un mantello si chiuse intorno a me. Fui condotta via dal mercato e stavo salendo su una carrozza in attesa quando udii il boato della folla.
Annotazione 3
La donna seduta di fronte a me non diceva una parola, e io nemmeno. Guardava fuori dal finestrino, studiando la scena che scorreva mentre io studiavo lei. Era di certo una dama, vestita riccamente. Il mantello era di morbida lana scura, chiuso alla gola con un fermaglio d’argento e una catena, l’abito di velluto verde, nella sfumatura cangiante delle foglie nuove del faggio che si agitano al vento primaverile. Le mani erano guantate, le dita lunghe e sottili, e sotto la pelle morbida dei guanti si vedevano sporgere molti anelli. Il viso era coperto. Una veletta nera, fine come nebbia, o-scurava le sue fattezze, ma riuscivo a vedere abbastanza per capire che era giovane e graziosa. La pelle era chiara e potevo intuire la linea ombreggiata degli zigomi alti e la curva delle labbra finemente modellate. Non riuscivo a vedere i suoi occhi, e comunque non erano posati su di me. Guardavano continuamente fuori.
Se era cosciente del mio esame, non ne dette alcun segno e non fece commenti mentre la carrozza proseguiva. Mi domandai se guardava fuori per timore dei banditi, perché questi sono tempi senza legge, e le strade sono infestate da bande di soldati lasciati indietro da entrambi gli eserciti, e da altre masnade di svariati vagabondi. Molti hanno paura di viaggiare, e lei non cercava nemmeno di nascondere la sua ricchezza.
Non sembrava intenzionata a dirmi chi era e non glielo chiesi. Mi tornò alla mente una vecchia filastrocca. Mentre viaggiavamo le ruote della carrozza davano il ritmo:
‘In città vivono nove streghe, tre vestite di lana, tre vestite di stracci, tre del miglior velluto…’