Il Necronomicon
e
Howard Phillips Lovercraf
Howard Phillips Lovercraft, nato nel 1890 a Providence nel Rhode Island, scrisse un’ottantina di racconti, romanzi, liriche e saggi nell’ambito della narrativa fantastica e dell’orrore. Quando morì, all’età di 46 anni, gran parte della sua produzione era ancora inedita o pubblicata su riviste popolari, ignorate dalla critica ufficiale. Il suo successo è postumo e legato soprattutto alla traduzione dei suoi testi nelle lingue europee. Oggi Lovercraft è divenuto l’oggetto di un vero culto letterario ed è riuscito ad influenzare la narrativa moderna soprannaturale.
A lui molti attribuiscono in realtà la stesura del libro chiamato “Necronomicon”, che sarebbe tutto frutto della sua fervida fantasia. Altri invece asseriscono che Lovercraft, per la stesura del libro, si sia ispirato ad un vecchio manoscritto che fu realmente in suo possesso e che, quindi, tutto ciò che si trovava illustrato e descritto nello stesso non fosse un’espressione di pura fantasia, bensì fosse fondato su matrici reali. Il Necronomicon, il “Libro dei Morti”, scritto dal folle arabo Abdul Alhazred, costituisce uno dei più interessanti misteri nella storia della letteratura. Infatti, pur non potendo dimostrare la sua esistenza è tutt’oggi più vivo che mai.
Secondo le credenze il libro fu scritto da Abdul Alhazred, un arabo ritenuto folle. Venne poi tradotto in inglese da un certo Olaus Wormius, bruciato poi sul rogo.
Data la crescente popolarità del libro e l’enorme domanda registrata presso i bibliotecari, molti scrittori presero in considerazione la possibilità di reinventarlo. Gli studi sulle opere di Lovecraft furono fondamentali per comprendere da quali fonti fossero state attinte le informazioni necessarie per il concepimento del Necronomicon.
Costoro compresero che la linea di demarcazione esistente tra libri reali e libri leggendari non è quasi mai chiaramente definita.
Il Necronomicon è considerato il più potente libro di magia nera “che sia mai esistito”. Un grimorio così importante non poteva restare solo una leggenda. Doveva esistere.
Data per vera la sua reale esistenza, iniziarono le ricerche. Ma in questo modo fornirono un terreno fertile per alcuni scrittori che fiutarono l’affare. Ma da dove partono le ipotesi che vedono tale scritto realmente esistito?
Winfield Lovecraft (padre di H.P. Lovecraft) era membro del ramo egizio della Massoneria, fondato o almeno reso pubblico da Alessandro, conte di Cagliostro, famigerato impostore, sì, ma anche pericoloso manipolatore di forze occulte.
Gli attuali praticanti della Massoneria Egiziana conservano una notevole tradizione occulta, espressa in rituali che soltanto gli iniziati possono spiegare, sebbene sia condivisa in una certa misura, solo dal punto di vista dei rituali, dai praticanti della massoneria comune.
Al padre di Lovecraft venne insegnato a leggere questi estratti del Necronomicon nientemeno che da Tall Center (Alto Cedro) che aveva avuto il testo sacro da Innermost Shrine (Tempio Interiore) che l’aveva a sua volta ricevuto da Fouquier Tinville, lo Dzherzhinsky della Rivoluzione Francese, il quale ultimo l’aveva ottenuto non senza ricorso alla tortura dai seguaci di Cagliostro.
In seguito a straordinarie scoperte archeologiche effettuate nell’Iraq sud orientale, a Kut-al-Amara, piccolo centro agricolo dell’Iraq sud-orientale sul fiume Tigri (l’antica Kutu, città di origine sumera consacrata alle divinità ctonie; è stata dal 1987 oggetto di scavo da parte di una spedizione del Centro Scavi di Torino per il Medio Oriente e l’Asia), nel 1990, gli archeologi rinvennero, poco fuori del pomerio di Kutu (ferocemente distrutta intorno al VII secolo a.C. per ordine del re assiro Sannacherib), un tempio sotterraneo perfettamente conservato, Nel sancta sanctorum di questo tempio, che aveva la forma di uno ziqqurat rovesciato, oltre ad altro materiale di rilevante interesse archeologico, è stata rinvenuta una grande quantità di tavolette di argilla contenenti interessantissimo materiale letterario in lingua sumera. Dopo varie vicissitudini, tali tavolette, ribattezzate immediatamente come le “tavolette di Kutu” sono state tradotte dal professor Venustiano Carranza, docente di paleografia semitica all’Università di Città del Messico, una delle massime autorità mondiali nel campo della assirologia. I risultati a cui ha portato questa traduzione sono stati a dir poco sconvolgenti; è stata confermata un’ipotesi, che collega i Miti di Chtulhu alla religione e mitologia sumero-babilonese.
È stato individuato nel corpo di una corrotta edizione del Poema della Creazione babilonese, l’Enuma Elish, contenuta nelle tavolette di Kutu, numerosi riferimenti ai cosiddetti “Grandi Antichi”: Azatoth, Yogsothoth, Hastur, Nyarlathotep, Shub-Niggurath.
Il contenuto delle tavole di Kutu, secondo l’eminente studioso messicano, si era irradiato nella cultura occidentale ben prima dell’VIII secolo d.C., secolo a cui Lovecraft aveva datato la scrittura dell’Al Azif da parte di Abdul Alhazred.
È stata dimostrata, quindi, l’esistenza di una sorta di Proto-Necronomicon, di una formulazione epico-magico originaria, databile probabilmente intorno al 1000 a.C. che costituisce il complemento del grimorio decriptato da Turner dal codice del mago e negromante John Dee.
Intorno al 1927, Lovecraft scrisse (non con intenti di pubblicazione, ma come uno scherzo a beneficio degli amici e corrispondenti più intimi) una breve “storia editoriale” del Necronomicon, che si diffuse immediatamente tra gli appassionati del fantastico, ottenendo una fama ben al di là delle intenzioni del suo autore. È qui riportata la versione integrale della prefazione al Necronomicon:
Ascolta ciò che ti dice Abdul Alhazred:
gli Antichi Dèi han posto i Maledetti
in sonno. E chi manipola i sigilli
e i dormienti ridesta, è maledetto anch’egli.
E dico ancora: qui chiuse son le càbale
in cui s’asconde il torbido potere
d’infrangere i sigilli millenari
che serrarono Cthulhu e la sua orda.
Ho perso
tutta la vita per delucidarle.
La notte s’apre sull’orlo dell’abisso.
Le porte dell’inferno sono chiuse:
a tuo rischio le tenti. Al tuo richiamo
si desterà qualcosa per risponderti.
Questo regalo lascio all’umanità:
ecco le chiavi.
Cerca le serrature: sii soddisfatto.
Ma ascolta ciò che dice Abdul Alhazred:
per primo io le ho trovate: e sono matto.
Nel suo All’interno è possibile trovare tutta una serie di formule magiche per evocare i demoni e altre forze diaboliche. Si dice che, nella versione originale, le pagine e le relative rilegature siano di pelle umana prelevata da corpi di persone uccise dalla stregoneria. Inoltre, pare che la lettura a voce alta di tale lettura possa evocare spiriti maligni e che alcune persone dimenticatesi delle cautele abbiano letto tale libro ad alta voce diventando poi vittime di incidenti orribili.
Per questo, si dice che esistano poche copie di questo libro e che vengano custodite in famose biblioteche tra cui quella Vaticana, in stanze di sicurezza.
Questo non è un libro destinato al pubblico ed è stato stampato principalmente per essere messo a disposizione di studiosi dell’occulto e sembra che le informazioni in esso contenute siano state riferite all’autore da forze soprannaturali.
Il titolo originale dell’opera è “Al Azif”, dove “Azif” è l’allocuzione usata dagli arabi per indicare gli strani suoni notturni (dovuti agli insetti) che si supponevano essere l’ululato dei dèmoni. L’autore è Abdul Alhazred, un poeta folle di Sanaa, capitale dello Yemen, che si dice sia vissuto nel periodo dei Califfi Ommiadi, nell’VIII secolo dopo Cristo. Fece molti misteriosi pellegrinaggi fra le rovine di Babilonia e le catacombe segrete di Memphis e trascorse dieci anni in completa solitudine nel grande deserto dell’Arabia meridionale, il Raba El Khaliyeh, o “Spazio vuoto” degli arabi antichi; e nel Dahna, o “Deserto cremisi” dei moderni, ritenuto dimora di spiriti maligni e mostri mortiferi. Di questo deserto, coloro che pretendono di averlo attraversato, narrano molte storie strane ed incredibili.
Nei suoi ultimi anni, Alhazred abitò a Damasco, dove venne scritto “Al Azif”, e del suo trapasso o scomparsa (nel 738 d.C.) si raccontano molti particolari terribili e contraddittori. Riferisce Ibn Khallikan (un biografo del dodicesimo secolo) che
“venne afferrato in pieno giorno da un mostro invisibile e divorato in maniera agghiacciante di fronte ad un gran numero di testimoni gelati dal terrore.”
Anche la sua follia è oggetto di molti racconti. Egli affermava di aver visitato la favolosa Irem, la Città dalla Mille Colonne, e di aver trovato fra le rovine di un innominabile villaggio desertico le straordinarie cronache ed i segreti di una razza più antica dell’umanità. Non seguiva la religione musulmana, ma adorava delle Entità sconosciute che si chiamavano Yog e Cthulhu. Intorno all’anno 950, l’ “Al Azif”, che era stato diffuso largamente, anche se in segreto, tra i filosofi dell’epoca, venne clandestinamente tradotto in greco dall’erudito bizantino Teodoro Fileta, col titolo “Necronomicon”, cioè, letteralmente: “Libro delle leggi che governano i morti”. Per un secolo, favorì innominabili esperienze, finché non venne soppresso e bruciato intorno al 1050 dal vescovo Michele, patriarca di Costantinopoli. Dopo di ciò il suo nome fu solo furtivamente sussurrato ma, nel tardo Medioevo (1228), il danese Olaus Wormius ne fece una traduzione latina, basata sulla versione greca di Fileta, che vide la stampa due volte: una alla fine del quindicesimo secolo, in caratteri gotici (evidentemente in Germania) e una nel diciassettesimo (probabilmente in Spagna). Entrambe le edizioni sono prive di qualsiasi segno di identificazione e possono essere localizzate nel tempo e nello spazio solo in base a considerazioni riguardanti il tipo di stampa. L’opera, sia in latino che in greco, venne posta nell’Index Expurgatorius sin dal 1232 da papa Gregorio IX, cui era stata mostrata la traduzione di Wormius. A quell’epoca, l’originale arabo era già andato perduto, come mostra la prefazione alla prima versione latina (vi è tuttavia un vago indizio secondo cui una copia segreta sarebbe apparsa a San Francisco in questo secolo, e sarebbe andata distrutta nel famoso incendio del 1906). Nessuna notizia si ebbe più della versione greca (che fu stampata in Italia fra il 1560 e il 1570) fino al resoconto del rogo cui fu condannato nel 1692 un cittadino di Salem con la sua biblioteca. Una traduzione in inglese fu fatta dal dottor John Dee intorno al 1580, non venne mai stampata, ed esiste solo in alcuni frammenti ricavati dal manoscritto originale delle versioni latine attualmente esistenti, una (del quindicesimo secolo) è custodita nel British Museum, mentre un’altra (del diciassettesimo secolo) si trova nella Bibliothèque Nationale a Parigi. Altre edizioni del diciassettesimo secolo sono nella Widener Library ad Harvard, nella biblioteca della Miskatonic University ad Arkham e presso l’università di Buenos Aires. Comunque esistono certamente numerose altre copie presso privati e, a tal proposito, circola con insistenza la voce che un esemplare del testo, in caratteri gotici del quindicesimo secolo, faccia parte della collezione privata di un celebre miliardario americano. Sembra anche che, presso la famiglia Pickman di Boston, sia presente una copia del testo greco stampato in Italia nel sedicesimo secolo: se è vero, questa è comunque certamente svanita insieme col pittore R. U. Pickman, di cui si sono perse le tracce dal 1926. Il libro è posto all’indice da tutte le religioni del mondo. La sua lettura determina conseguenze terribili. Si dice che sia appunto da vaghe notizie su quest’opera (della cui esistenza una ben piccola parte della gente è al corrente), che lo scrittore R. W. Chambers abbia tratto lo spunto per il suo celebre romanzo The King in Yellow, il cui filo conduttore è un libro iniziatico la cui lettura provoca la follia. In seguito alla diffusione di questo documento, numerosi scrittori ed appassionati del fantastico contribuirono alla nascita della “leggenda del Necronomicon”, attraverso riferimenti, brani musicali, citazioni e, come nel caso di Colin Wilson, libri presentati come estratti della versione in inglese del Necronomicon. Inutilmente, lo stesso Lovecraft si affannò a spiegare nelle sue lettere che tanto il sinistro volume quanto il suo folle autore non esistevano, essendo solo frutto della sua fantasia: la maggior parte dei lettori credette (e, a quanto pare, crede ancora) alla reale esistenza del testo maledetto.
In conclusione, attualmente il Necronomicon (libro partorito dalla mente di Lovecraft) è un’opera la cui esistenza è da molti data per certa. Varie scuole esoteriche evocano Cthulhu, Yog-Sothoth, Shub-Niggurath e compagni, impiegando ogni genere di rituali.
In sostanza, questo libro esiste o non esiste? Fantasia o realtà? Creazione di una mente fervidamente fantasiosa o pacata rivelazione di un oscuro passato? Per usare una celebre frase… Ai posteri l’ardua sentenza.
(Vanni Lara)