Assaporavo il profumo mieloso che emanava la sua pelle mentre la osservavo da dietro le persiane delle sue finestre.
Venezia è una città estremamente affascinante, forse per questo è condannata a perire tra i flutti periodicamente, come una fenice. Prima o poi, però, difficilmente rinascerà dalle proprie ceneri…
La calle era stretta e umida, il persistente odore di marcio ben si confondeva con quello di pesce stantìo che permeava l’aria. La luna era fin troppo brillante per i miei occhi sensibili e non un filo di vento tirava in quello stretto passaggio.
Il suo piccolo balconcino era chiuso da sottili ricami in ferro battuto che emanavano deboli bagliori bluastri in controluce, mentre le persiane della sua stanza erano socchiuse quel tanto da poter sbirciare al loro interno, evitando alla molta luce di entrare.
Nell’ombra, a proteggermi dai raggi lunari, osservavo la sua figura che lascivamente ondeggiava al suono di un rondò immaginario, mentre pian piano si svestiva delle sottane e delle trine con cui poco prima l’avevo ammirata.
I suoi capelli alla moda del tempo, erano ricci, castani, morbidi e ricadenti in pesanti boccoli a incorniciarle il volto. Il suo ovale era di donatelliana fattura, candido, liscio, espressivo. Pareva il volto di una madonna d’altri tempi. Il suo corpo poi era l’essenza della sensualità, il suo collo sottile eppure lungo, la sua schiena liscia, i suoi seni proporzonati, la vita sottile, i fianchi prosperosi e le gambe lunghe e snelle.
La visione di quel quadro vivente era estasiante. Ne apprezzavo ogni movimento, ogni sussurro di melodia accennata, ogni risolino sfuggito. Per lunghissimi istanti fui sotto incantesimo di questo essere bellissimo che si muoveva nella sua piccola stanza, poi un pugno allo stomaco mi riportò nella realtà.
Era semplice cibo, per quanto bello, e l’odore di marcio che mi aleggiava attorno era diventato insostenibile.
Che fosse leggermente brilla lo si capiva dall’ondeggiare sommesso mentre ripiegava le sue gonne e i suoi merletti. Che al mio ingresso nella camera rimanesse basita, prima, per poi sorridermi del più dolce sorriso mai visto, invece, non me lo aspettavo.
Le sorrisi di rimando, mentre profondendomi in un lungo inchino potevo ammirare di gran lunga in modo migliore le sue grazie e le rotondità perfette del suo corpo.
Interdetta e assolutamente conscia di essere nuda completamente (lo deducevo dal lieve rossore sulle sue guance) tirò a se’ una sottana e senza proferire una sola parola mi fissò intensamente negli occhi, immobile.
Una così bella creatura vivente non merita di finire la propria vita così, pensavo, e più mi guardava e più me ne convincevo. Passarono altri lunghissimi immobili istanti lunghi una eternità e oltre.
Di nuovo l’orribile puzzo mi fece ricredere. Meglio lei, meglio che muoia ora, così perfetta e belissima com’è, prima di rughe e vecchaia. Immortalata in me come fosse in un quadro di un pittore divino.
Mi avvicinai di un passo e le porsi la mia mano guantata. Il mantello che morbido mi copriva le spalle, ricordo benissimo, scivolò a terra con questa mossa e lei, di rimando, si avvicinò prima per poi raccoglierlo da terra e porselo sulle spalle nude. Sempre fissandomi negli occhi con quella sua espressione in bilico tra curiosità e innocenza.
Mi porse la sua, di mano, con le lunghe dita affusolate e la pelle di porcellana. La signora meritava anche questo onore.
Le presi delicatamente quella manina calda dal profumo di miele e dolcemente la condussi su quel balcone, dal quale la luna era chiara e profonda.
Di spalle a me, la fanciulla appoggiata mollemente sul parapetto si sciolse i lunghi e boccolosi capelli con un risolino quasi malizioso. Uscii anche io alla luce della luna e subito percepii sul mio volto e sul mio collo scoperto un lieve bruciore. Non mi importava. La signora meritava questo onore e io dovevo subìre una punizione per questa colpa.
Le tolsi delicatamente il mantello e le carezzai la schiena perfetta, immersi il volto tra i suoi folti capelli mentre con estrema calma sfilavo entrambi i miei guanti. La sua eccitazione era evidente dal tremolio delsuo corpo ma non stonava affatto col panorama in quel momento, la calle che riluceva dei raggi della luna, le imposte delle finestre di fronte al balcone che rimandavano bagliori rossastri, il silenzo rotto da melodie lontane. Infine le mie mani nude sulla sua pelle meravigliosa, e poi… il suo volto che si riversa gentilmente all’indietro, i suoi occhi che mi guardano ancora con quella espressione e, ora, con qualcosa in più: un lontano grazie nel suo sguardo mi fece capire, quindi compìre l’opera come sapevo fare meglio. La strinsi dolcemente e la deposi al suolo, mentre una pioggia di lame dei raggi lunari tagliava la mia pelle.
Mentre sentivo il suo calore pian piano andarsene, le sue belle dita mi sfiorarono il volto e scesero sui volants delle spalle, infine mi strinsero polsi, avvicinandoli, se possibile, ancora di più al suo cuore. E un sorriso che pareva una ambrosia degna di un dio, si dipinse sul suo sereno volto.
Avevo reso reale, inconsapevolmente, il desiderio di quella ragazza. La memoria della sua meravgliosa belezza sarebbe rimasta viva e impressa a fuoco in me, preservandone per sempre la bellezza. La sua vanità era stata appagata e ora il tempo non l’avrebbe più schernita con immagini di vecchiume e indigenza.
E oggi è ancora così, la sua immagine mi ritorna in mente ogni volta che sento profumo di miele, e con lei, forse il mio unico amore.
Forse.
(tratto da “le memorie di un vampiro”)