Il termine folletto, così come l’espressione piccolo popolo o spiritello (per esempio spiritello dei boschi), si riferisce a minuscole creature magiche del folklore, mediterraneo, europeo e nordico. Il termine deriva per sincretismo linguistico tra i volgari folle, e forse folata, e l’arabo farfar.
Il folletto è un personaggio fantastico della tradizione popolare che vive nelle fiabe e nelle leggende. È identificato originariamente con esseri buffi e grotteschi, veloci e sfuggenti, piccoli e agili, ma anche con una creatura invisibile, un turbine di vento, un misterioso burlone che intreccia le criniere e i capelli. Abita in tane nei boschi di conifere o presso le case degli uomini, nei cortili e nei granai, esce quasi sempre solo di notte per divertirsi a fare dispetti alle bestie delle stalle e a scompigliare i capelli delle belle donne, a disordinare gli utensili agricoli e gli oggetti delle case e a molestare le persone che sono, soprattutto, povere di spirito.
Alcune cronache sulla loro esistenza ci pervengono dal passato. Eccovene alcune.
La storia dei bambini verdi di Suffolk
E’ accaduto in un villaggio del Suffolk nel dodicesimo secolo: due bimbi completamente verdi che parlavano una lingua sconosciuta raccontarono di essere giunti in quella terra dopo aver attraversato una caverna
In cronache risalenti agli inizi del XIII secolo si legge di una vicenda che accadde verso la seconda metà del 1100 in un villaggio del Suffolk e che oramai ha assunto i contorni di una fiaba: quella dei bambini verdi di Woolpit.
I piccoli, un maschio e una femmina, furono trovati intrappolati in alcune tagliole per le volpi e la loro pelle aveva una sfumatura decisamente verdastra, così come verdi erano gli abiti che indossavano. Non è tutto, perché sulle prime i due misteriosi ragazzini rifiutarono ogni sorta di cibo per nutrirsi esclusivamente di fagioli verdi. Parlavano un linguaggio sconosciuto, incomprensibile a tutti. Alcuni superstiziosi dell’epoca, naturalmente, li indicarono come folletti o lontani cugini di elfi. Entrambi andarono a vivere nella casa di tal Sir Richard De Caln.
Il bambino morì poco tempo dopo essere stato ritrovato. Secondo la leggenda, la bimba invece sopravvisse, divenne adulta, cambiando gusti alimentari e imparando un corretto inglese. La sua pelle mutò, diventando di un normale colorito roseo. Si sposò con un tale di King’s Lynn nel Norfolk, si dimenticò del suo passato e per dirla come si fa nelle fiabe, visse il resto dei suoi giorni felice e contenta.
Ma cos’era emerso dalle mille domande che quelli di Woolpit fecero ai bambini?
I due raccontarono che provenivano da un luogo chiamato St. Martin’s (o Martin’s Land?). Nella loro terra c’erano chiese e “un’altra terra poteva essere vista al di là del fiume”.
Dissero inoltre che nel luogo da dove provenivano il sole non arrivava “mai tanto in alto”. Avevano raggiunto a piedi quel luogo percorrendo un passaggio sotterraneo, guidati dal suono delle campane della chiesa.
Diverse le interpretazioni che sono state date a questa vicenda e soprattutto alle parole dei bambini.
Il passaggio sotterraneo e il suono delle campane sono probabilmente invenzioni, o “simboli” (il luogo oscuro, sotterraneo, perduto; il ritrovamento della luce).
Altre fonti indicano invece i due bambini come trovatelli di un villaggio chiamato Fornham St. Martin’s, colpito dalla guerra civile scoppiata durante il regno di Re Stephen (1135-1154). Le gallerie in questione sarebbero state le miniere neolitiche di selce della foresta di Thetford. Il colore verdastro della pelle altro non era quindi che una forma di anemia divenuta clorosi. Il misterioso linguaggio era una sorta di dialetto ben marcato e forse anche infantilmente storpiato.
Interpretazioni molto più romantiche vorrebbero invece che i due bimbi fossero davvero dei folletti, e appartenessero a un misterioso e oscuro reame sotterraneo. In quel “St. Martin’s”, o meglio, “Martin’s Land”, poi, alcuni ci hanno visto la storpiatura del nome “Merlin’s Land”, Terra di Merlino. Studi più recenti, in stile X-Files, parlano invece di extraterrestri (eh, i cuginetti della fantascienza che vogliono sempre rubarci le idee…).
Lo spiritello e il vescovo.
II riferimento più antico di cui disponiamo, a proposito delle imprese di un folletto, è contenuto nei «Gesta Karoli Imperatoris», scritti tra l’882 e l’883 dal Monaco di San Gallo, il quale riporta la cronaca divertente di uno spiritello in vena di burle che, pur di avere il permesso da un fabbro di frequentare nottetempo la sua casa e maneggiare gli arnesi da lavoro, arrivò a stipulare con esso una sorta di patto, con il quale si impegnava a far trovare ogni giorno all’artigiano compiacente, un bei fiasco di vino sul suo tavolo.
Quest’ultimo, spinto oltretutto dalle difficoltà economiche in cui si dibatteva a causa di una grave carestia che attanagliava il paese, aveva accettato ovviamente di buon grado, ignaro tuttavia del fatto che Io spirito, per adempiere al proprio impegno, andava a rifornirsi nelle generose cantine di un vescovo, definito «di un’avarizia senza pari», al quale lasciava, oltretutto, non sappiamo se per distrazione o per dispetto, ogni volta le cannelle delle botti sistematicamente aperte!
Naturalmente il Dies Irae del Vescovo non tardò a manifestarsi e da buon religioso dell’epoca, sospettando un vile intervento diabolico, pensò bene di contrattaccare, allagando la cantina di acqua benedetta e tappezzando le pareti di croci ed «exorcismi terribilis»…
Il povero spirito, all’oscuro del tranello, tornò puntualmente nel sotterraneo, restando così intrappolato, senza possibilità alcuna di fuggire, ne tanto meno di essere liberato da temerari colleghi, o divinità alternative. Fatto sta che il mattino seguente, scoperto dai servitori in forma umana, fu catturato e condannato “come ladro” ad essere frustato per punizione, al pari di un comune mortale..
L’infestatore.
Apprendiamo invece da Sigeberto di Gembloux, il noto cronista vissuto tra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, la storia densa dì particolari, di una straordinaria apparizione che nell’anno 858 mise a soqquadro l’intera diocesi di Magonza.
«Uno spiritus malignus — scrive — diede in quell’anno un segno manifesto della sua malignità. Infatti molestava i cittadini di Magonza scagliando sassi dentro le loro abitazioni, battendo colpi violenti sui muri, urlando, seminando la discordia tra vicini di casa.
Non contento, aveva aizzato i cittadini contro un tale, come se tutta la città soffrisse quelle gravi molestie per le colpe di costui. Al poveretto aveva bruciato i covoni pronti per la trebbiatura, e poi dovunque egli andasse subito bruciava la casa che lo ospitava, sicché lo sventurato era costretto a vivere sotto gli alberi fuori di città.
Per mettere fine al tanto danno, il clero di Magonza fece una processione solenne, recitando speciali preghiere e aspergendo acqua benedetta.
In effetti riuscì a placare lo spirito. Ma appena la processione si sciolse, questi tornò a farsi vivo, avvertendo che si era nascosto sotto le vesti di un prete, e ne disse il nome, per non essere raggiunto dagli spruzzi dell’acqua santa. E come se questo fosse poco, accusò quel prete di aver sedotto la figlia del procuratore della città.
Ancora per tre anni l’indomabile spirito rimase a Magonza recando gravi incomodi ai cittadini e al povero prete sotto le cui vesti aveva trovato sicuro asilo. Andò via quando ebbe bruciato un buon numero di case».
Il “Quacio”: Folletto della Valle Brembana
A Botta di Sedrina (Valle Brembana), si racconta di una famiglia che è stata protagonista delle angherie di un folletto attorno gli anni 70. Una sera, un ragazzo proveniente dal milanese, attardandosi a casa della fidanzata fu costretto a farsi ospitare per la notte. Il suocero, mentre lo accompagnava nella sua stanza, lo rassicurò dicendogli di andare a letto tranquillo, di dormire e di non avere nessun pensiero. Il ragazzo tra sé e sé pensava dubbioso alla stranezza di queste raccomandazioni. Ma durante la notte venne svegliato da un rumore e vide un ometto dalle sembianze umane sul comò, alto circa 30 centimetri che rideva come un matto. Il giovane pensava di sognare, o di essere ubriaco, accese la luce e l’ometto sparì, la spense ed eccolo ricomparire in piedi sul comò, sempre sghignazzante. Allora il ragazzo si alzò di scatto e gli intimò di smetterla altrimenti gli avrebbe tirato un pugno. Il giovane gridava, anche per convincersi di essere sveglio, ma l’ometto continuò e non lo lasciò dormire per tutta la notte. Al mattino, il suocero gli domanda cosa sia successo quella notte, avendolo sentito sbraitare tutto il tempo! Il ragazzo gli raccontò tutto e scoprì che il suocero era al corrente dell’esistenza dell’ometto, è che questo era in realtà il “Quacio”, un folletto, e che solo lui, su tutta la famiglia, riusciva a vederlo. L’apparizione del Quacio non si limita a quest’episodio. Compariva regolarmente e sempre per fare dispetti. La famiglia era ormai abituata alla convivenza con questo folletto. Fecero benedire diverse volte la casa, ma il Quacio non se ne volle mai andare! Che sia ancora là a preparare i suoi scherzetti?
Il Folletti della Val Taleggio
Si racconta che in alta Valle Brembana, un tale di Olda si recò a Sottochiesa per motivi di lavoro. La sera sulla via del ritorno, mentre stava attraversando il ponte di Sottochiesa, udì il pianto di un bambino provenire da sotto il ponte. L’uomo si precipitò a soccorrere il bimbo ancora in fasce. Pensò che si trattasse di un abbandono, lo prese e lo portò a casa. Durante il tragitto il bimbo si faceva sempre più pesante finché il pover’uomo cadde stremato. A quel punto si accorse che il bimbo che stava portando si era trasformato all’improvviso in un folletto rosso e ghignante che gli rubò le scarpe e scomparì, costringendo l’uomo a tornarsene a casa a piedi nudi. Una leggenda analoga sempre ambientata a Sottochiesa, racconta di un uomo che una sera, sulla via di ritorno verso casa, trovò un ubriaco steso sulla strada. Decise allora di portarlo con sé nella sua modesta abitazione, se lo caricò in spalla e una volta a casa lo mise a letto. Durante la notte l’uomo fu svegliato da un forte baccano che proveniva dalla stanza dove stavano stagionando gli stracchini, e trovò tutti i formaggi a pezzi e sparsi per terra. Non riuscendo a spiegarsi l’accaduto cercò di svegliare l’ubriaco che aveva soccorso, ma dormiva troppo profondamente. Scese allora in cucina e non sapendo che pesci pigliare, si fece un caffé, finché non si addormentò con la testa sul tavolo. Ad un certo punto fu svegliato di nuovo da un gran chiasso che questa volta proveniva dalla cantina. Si accorse incredulo che anche lì era tutto a soqquadro, tornò allora di sopra e ritentò di svegliare l’ospite, ma questo continuava a dormire alla grossa. Tornò in cucina, quando ad un certo punto vide entrare un grosso gatto dalla porta principale che si mise a crear scompiglio, cercò allora di acchiapparlo ma questo scappò fuori dalla finestra e scomparve. A questo punto l’uomo corse spaventato dall’ubriaco, ma con stupore vide che questo non c’era più ed il suo letto era in preda alle fiamme. Finalmente fu tutto chiaro, la persona che aveva soccorso era un folletto!