I Daimon
Nella trilogia di romanzi fantastici di Philip Pullman “Queste oscure materie” (di cui il primo capitolo è La bussola d’oro), un daimon è la manifestazione fisica dell’anima di un individuo, sotto forma di animale che lo accompagna sempre. Tale rappresentazione coincide in molti punti anche nella visione Daimonista dei Daimon.
Molte caratteristiche del daimon corrispondono ad idee formulate nell’ambito di diverse culture e della psicologia[senza fonte], mentre l’origine del termine e l’idea stessa deriva dal Daimon socratico. Infatti già Socrate aveva ipotizzato l’esistenza di uno spirito guida (in greco “daimon” vuol dire “spirito”, una sorta di angelo custode precristiano). Questo spirito accompagnerebbe ogni individuo durante tutto il corso della vita, lo proteggerebbe e lo consiglierebbe nei momenti difficili.
Un pò di storia
Di etimologia incerta, forse legato al verbo daiomai, “spartire”, “distribuire”, che lo significherebbe come “chi assegna o distribuisce il destino”, daimon è un termine dal significato oscuro e spesso ambiguo.
Nell’Iliade può designare al plurale (daimones) l’insieme degli dei olimpici, oppure singole divinità come Afrodite. Nell’Odissea invece, individua talvolta una potenza oscura e malvagia che si impossessa dell ‘uomo. Più frequentemente e genericamente, esso esprime però il potere divino, o l’idea stessa del divino, che, anche se in certi casi viene a coincidere con qualche specifica divinità, non può essere con quella confusa: daimon non è intercambiabile con theos, “dio”.
Forse per la sua stessa genericità e nebulosità semantica, la nozione di daimon descrive una potenza anonima che suscita angoscia, invisibile e non rappresentabile plasticamente. Ma già con Esiodo, i daimones cominciano a configurarsi come potenze intermedie tra gli dei, gli eroi e i mortali, mantenendosi tale concezione pressoché invariata fino a Socrate e a Platone, dove viene però ulteriormente sviluppata: il daimon è anche il compagno scelto nell’ Ade dall’uomo prima di cominciare la sua esistenza terrena e che, dopo la morte, guida l’anima sino al luogo in cui deve essere giudicata.
Sulla scia del De genio Socratis di Plutarco, Apuleio pubblicò in De deo Socratis un’interessante teoria sul daimon: egli dice che gli dei della religione ufficiale sono troppo lontani dagli uomini per occuparsi veramente di loro. L’uomo perciò resta solo di fronte all’ignoto e non può portare davanti agli dei le sue preoccupazioni e le sue pene. A questo punto intervengono i daimones, cioè i demoni nel senso positivo della parola, presentandosi così come i modelli archetipici di quelli che più tardi saranno gli angeli nel Cristianesimo: messaggeri, portatori delle preghiere degli uomini, intermediari e ambasciatori tra il cielo e la terra.
Già nell’ antichità quindi, ogni individuo aveva il suo proprio daimon, termine che Apuleio traduce opportunamente con la parola latina genius. Si pensava che era proprio il genius a rendere genialis, e che se una persona riusciva a coltivarlo durante la sua vita, lo stesso, dopo la morte, si evolveva in una forma più nobile chiamata Lare, divinità domestica, benefica e protettrice. In caso contrario, esso diventava una Larva o spirito malvagio.
Apuleio afferma che certe personalità eccezionali come Socrate o Esculapio, raffinarono il proprio daimon al punto che esso finì per diventare una parte autonoma e visibile di loro stessi, acquistando dopo la loro morte i caratteri di una divinità locale o collettiva. L’idea e la percezione del daimon sembra comunque attestata in tutte le culture antiche, riuscendo a incorporarsi (centralmente o perifericamente) nelle grandi religioni tradizionali. Nell’Induismo, per esempio, è noto col nome di Atman, l’aspetto individuale di Brahman, o Sé universale. Nell’Occidente laico moderno, è giunto invece filtrando attraverso due principali medium: quello scientifico-umanistico e quello artistico. Viene infatti immediatamente recepito dalla psicoanalisi, dove è stato di volta in volta identificato con i concetti di “anima”, “animus”, “ombra”, “alter-ego”, “doppio” o “sé”.
Una lettura junghiana più precisa lo definirebbe come la forma preconscia dell’individualità, intesa come “io” preconscio e “sé” preconscio insieme, ossia come il nocciolo della personalità totale. Mentre J. Hillman, ne Il codice dell’anima, rielabora e amplifica la trattazione platonica esistente al riguardo denominandola “teoria della ghianda”. La ghianda è l’immagine guida del nostro destino, che l’anima si sceglie prima di nascere affidandola non al nostro “io”, ma a un “altro”, il daimon appunto, che ha il preciso compito di renderla operante, liberandola al momento opportuno e sfruttando allo scopo ogni possibile situazione, buona o cattiva che sia. “L’io non è padrone in casa sua”, diceva sgomento Freud, “Je est un autre” (io è un altro), diceva esaltato Rimbaud, in accordo con Verlaine, e ripreso da Picasso che lo riferiva a sé come il suo demone creativo, tormento ed estasi della sua vita (insieme alle donne!).
In anni recenti, anche la filosofia, sia pure “debolmente”, è sembrata aprirsi all’accoglimento di questo mistero “psicospirituale” con un testo di M. Cacciari, L’angelo necessario, in cui però l’autore distingue nettamente l’angelo dal daimon: quest’ultimo chiama dall’idea alla forma, per questo è perentorio; l’angelo chiama invece dalla forma all’idea, per questo è leggiadro. Da buon filosofo, Cacciari vede l’oltre solo nell’ angelo, mentre dal nostro punto di vista (lettura simbolico-contemplativa) sono entrambe figure-ponte tra il visibile e l’invisibile, due aspetti di una medesima realtà dello spirito in rapporto all’anima, sia pure polarizzati in senso opposto. Ma non esiste l’uno senza l’altro, fermo restando che è comunque il daimon che spinge all’individuazione (il compimento, secondo Jung, del proprio compito nel mondo).
A questo proposito, sarebbe interessante e molto educativo per tutti noi poter rileggere la storia di Gesù come la storia archetipica del soggetto umano in grado di trascendere la sua finitudine grazie alla doppia interlocuzione con l’ angelo-daimon.
Potrebbe sembrare una cosa riservata solo a pochi “eletti”, ma l’esperienza del daimon è veramente molto più comune di quel che non si creda, basti pensare che Eros nel mondo antico (vedi Platone nel Simposio) era considerato più un daimon che un dio come gli altri. E dell’amore prima o poi facciamo esperienza tutti, solo che viene poi confinato e riferito soltanto a quello specifico vissuto, oltretutto molto episodico, dell’ innamoramento, anziché considerarlo un esempio di trascendenza a variabili infinite nello spazio e nel tempo. E quando nella nostra vita irrompe Eros, il dio di tutti i daimones, daimon esso stesso, è sempre il kairos, il momento giusto. Il momento giusto di morire… e quindi di vivere!
© Baldo Lami
Come trovare il proprio daimon
Imparare a conoscere il proprio daimon non è difficile, anche se può richiedere pazienza ed un minimo sforzo di volontà. Prima di incominciare è però opportuno fare alcune importanti precisazioni:
La forma e la sua analisi
I daimon hanno sempre forma di animale. Perché? Perché il daimon, quando assume la sua forma definitiva (vedi più avanti), rappresenta con essa quello che sei, le tue qualità, i tuoi difetti e la tua personalità.Ora, se il daimon assumesse una forma umana, essa non potrebbe descriverti, poiché non si possono enumerare qualità e pregi di un umano semplicemente guardandolo, in quanto queste caratteristiche cambiano da persona a persona, senza alcuna relazione con l’aspetto fisico. Né tanto meno si potrebbe definire il comportamento di un sasso.
Si possono invece analizzare, con il vecchio metodo dell’allegoria, gli animali, il cui aspetto, colore e comportamento generale sono sempre stati associati a particolari vizi, virtù e modelli di comportamento. Con questo procedimento si può arrivare a conoscere i tratti salienti di una persona semplicemente osservando la forma (fissa) del suo daimon.
Per fare un esempio alla larga, una persona con un daimon in forma di cane sarà socievole, simpatico a quasi tutti e saprà sempre come far sorridere qualcuno, etc… Analizzando con sempre maggior dettaglio la forma del daimon, in taglia, comportamento, abitudini alimentari, a volte arrivando fino al colore del pelo, si possono ottenere informazioni sempre più dettagliate.
Forma variabile e fissa
Bambini e adolescenti di solito non hanno una personalità ben definita, sono ancora in piena esplorazione di se stessi e degli altri, influenzati dalle parole e dalle idee più disparate… per questo, i loro daimon non hanno ancora forma fissa, cambiano semplicemente forma a seconda dell’umore o delle emozioni che (l’umano od il daimon) provano al momento. Se per esempio un bambino è spaventato, il suo daimon potrebbe diventare un topolino e cercare di nascondersi, oppure assumere una forma protettiva, come un orso, per rassicurarlo. Quando invece il daimon acquista una forma definitiva (all’incirca verso i 13-15 anni, ma può variare, e di molto, da persona a persona) significa che la tua personalità ha raggiunto il suo stadio finale, che sei maturato, e che nessuno può più cambiare quello che sei.
E’ poi scontato che la forma definitiva del tuo daimon difficilmente sarà quella del tuo animale preferito, e, in effetti, molto raramente siamo quello che vorremmo essere, ma, garantito, ti troverai ad amare la forma del tuo daimon, qualunque essa sia, e questo significa che hai rispetto per te stesso e per quello che sei.
Il genere
I daimon sono generalmente del sesso opposto a quello del loro umano. Le rare persone con daimon di sesso uguale al proprio tendono ad essere particolari: di solito sono omosessuali oppure bisessuali, ma questo non è sempre valido: un daimon del tuo stesso sesso può anche voler dire che possiedi molte qualità del sesso opposto, oppure al contrario che non ti fidi dell’altro sesso, oppure vuol dire semplicemente che sei speciale. Ci possono essere molte cause. In ogni caso, qualcuno con un daimon del suo stesso sesso non è decisamente una persona comune.
Come iniziare
Allora, come instaurare un “primo contatto” ? In realtà è più semplice di quanto si possa pensare, perché il tuo daimon è sempre stato con te, ti ha sempre parlato, solo che non lo sapevi. Ogni volta che ti poni una domanda, ogni volta che hai un dubbio o che devi prendere una decisione, la voce che senti nella tua mente è quella del tuo daimon. Quello che devi fare è solo prendere coscienza della sua esistenza. Qui sotto ci sono i due modi più spesso usati per entrare in contatto con loro. Spesso all’inizio risulterà più facile usarne soltanto uno, per poi usare entrambi una volta presa dimestichezza.
La voce interiore
Prima di tutto trova un luogo tranquillo, senza troppi rumori o gente intorno; la propria camera di solito è una buona scelta. Poi rilassati. Quando sei sufficientemente calmo fermati, e poni una domanda dentro la tua mente: niente di surreale, solo una delle tante domande che ogni giorno poniamo a noi stessi. Se vuoi, e ti mancano altre idee, puoi anche pensare solo “Ciao”. Riceverai una risposta. Non una voce proveniente da chissà dove che ti dice: “Ehi! sono qui e ho le risposte che cerchi”, ma la tua vocina interiore, che probabilmente avrai già sentito altre volte, si farà sentire rispondendo alla tua domanda (magari con un “non lo so”; se è una cosa che non sai neanche tu) oppure con un “Ciao”, oppure un sarcastico “Questa è decisamente la domanda del secolo”, o un’altra risposta ancora… Quella vocina interiore è il tuo daimon che ti sta parlando. Può essere difficile crederci all’inizio, potresti pensare di non star facendo altro che “parlare da solo” a livello mentale. Ma il tuo daimon è una parte di te, è ciò che sei, quindi in un certo senso stai veramente parlando con te stesso. Ricorda solo che, a meno che tu non ti ponga le domande e poi pensi la risposta del daimon in un secondo momento, la voce mentale che ti risponde è sempre quella del tuo daimon. Man mano che il tempo passa e che questo legame tra voi si rafforza, scoprirai che questa voce ha una sua personalità, che varia di tono, che può passare da un urlo di gioia ad un aspro rimprovero, etc. Inoltre, parlare con il tuo daimon richiederà sempre meno concentrazione, fino a che non riuscirai ad intavolare una conversazione decente con lui o lei anche nei rumori del traffico metropolitano.
Riuscire a parlare fluidamente con il proprio daimon può anche richiedere mesi, a seconda della persona, ma non li rimpiangerete affatto, credetemi.
Può anche darsi che il tuo daimon non riesca ancora, per un motivo o per l’altro, a dialogare con te a parole. In questo caso le risposte che riceverai saranno immagini, o lampi di emozioni. E’ qualcosa di perfettamente normale, e non toglie nulla alla qualità della relazione che potrai avere con il tuo daimon. Non c’è bisogno delle parole per capirsi, quando si è una cosa sola.
Inoltre, non tutti i daimon parlano allo stesso modo. Alcuni sono dei veri e propri chiacchieroni, che non ti lasciano stare un minuto e hanno sempre voglia di parlarti. Altri parlano solo in momenti importanti, od in occasioni che per te hanno un particolare significato. Ascolta in ogni caso quello che hanno da dire.
L’invisibile compagno
Come ho già detto, instaurare un rapporto con il proprio daimon significa anche entrare in confidenza con la loro rappresentazione “fisica”. Una domanda arriva spontanea: “Ma puoi veramente vedere la tua daimon?” Oh si, la vedo, ma non nel modo in cui sto vedendo questo monitor o nel modo in cui leggi questa pagina, e neanche in un qualche strano modo da sensitivo.
E neppure, come quelli che hanno letto “Queste Oscure Materie potrebbero pensare”, usando un qualche trucco visivo come scritto nel libro. Spiacente, non funziona. L’unico modo per vedere il proprio daimon è immaginarlo, o meglio, usare la propria immaginazione per proiettarne un’immagine vicino a noi.
Questo metodo si chiama “Visualizzazione”. Immagina un animale che faccia da “forma di partenza”, meglio se è un animale che hai visto spesso muoversi e di cui conosci bene le caratteristiche, fissane l’immagine nella tua mente, e poi prova a “proiettarla” vicino a te, preferibilmente ai bordi del tuo campo visivo. Una volta presa confidenza il daimon potrà anche muoversi. Non ti preoccupare se ti sembra “finto” e hai la sensazione di essere tu a muoverlo. La verità è che, soprattutto all’inizio, lavorate tutti e due al movimento ed il daimon, per aiutarti, è più che felice di andare dove tu vuoi che vada. Lentamente, man mano che il vostro rapporto si sviluppa, sarà il daimon a prendere gradualmente controllo dei suoi movimenti e a spostarsi da solo.
Più in la, il daimon incomincerà a cambiare forma, se non ne ha ancora una fissa, o ad assumerla, se ce l’ha.
Anche qui tutto cambia notevolmente da persona a persona, qualcuno riuscirà a vedere il proprio daimon chiaro come il giorno, mentre altri avranno grosse difficoltà. Alcuni non ci riusciranno proprio. Tenete in ogni caso a mente che se riuscite a parlare al vostro daimon, il grosso del lavoro è fatto, e che se lo “sentite” dentro di voi, allora la visualizzazione non è indispensabile.
Il nome
Sarebbe veramente strano stabilire un rapporto con il vostro daimon senza che lui/lei abbia un nome. Un nome speciale. I nomi umani tendono ad assomigliarsi un po’ tutti, mentre il nome di un daimon è qualcosa di speciale, perché dato a qualcosa di unico. Non è ancora chiaro se i daimon abbiano già un nome predestinato o bisogna darglielo, e, anche qui, varia notevolmente a seconda dei casi. Potresti trovarti a passare ore per trovargli un nome, come invece potrebbe venirti un’ispirazione improvvisa. A volte sono gli stessi daimon a suggerire un nome, arrivando in certi casi a fartelo capire lettera per lettera. Alcuni si accontenteranno di essere semplicemente chiamati “daimon”, finché non troverete qualcosa di appropriato. Come già detto, i nomi dei daimon sono particolari e carichi di significato ed usarli sempre può essere complicato, troppo freddo o troppo formale, e per questo dominano i diminutivi, utilizzati spessissimo, mentre i nomi interi vengono di solito utilizzati in momenti di particolare significato. Per esempio la mia daimon si chiama Saphirax, ma non uso quasi mai il nome completo, preferendo chiamarla Saphi, in modo decisamente più veloce e più affettuoso. Si potrebbe dire che diamo ai daimon nomi completi perché li rispettiamo, e i diminutivi perché gli amiamo. Non è comunque obbligatorio usare un diminutivo, se ti trovi già bene con il nome intero, o soprattutto se il nome è già corto od un monosillabo.