Era notte fonda e nel cascinale tutto era tranquillo.
Le grida disumane di Grimlok si erano zittite al tramonto dando agli abitanti della casa, finalmente, un pò di tranquillità.
Ora tutti dormivano tranne, ovviamente, Terenz e Lestat. Il primo si aggirava guardingo intorno alle mura cercando di captare anche il più piccolo rumore che potesse far intuire un pericolo. In bocca aveva ancora il sapore acre del sangue di maiale appena bevuto. Era già passato un pò di tempo da quando era diventato vampiro, ma ancora non si era abituato al nuovo modo di alimentarsi così come ancora soffriva molto del richiamo del sangue umano e rimpiangeva un passato in cui poteva godere del sapore dei cibi.
Lestat era seduto su un gradino davanti al portone e pareva avere la mente persa in ricordi lontani.
Nessuno dei due si accorse di quei piccoli movimenti furtivi provenienti dall’interno della casa, così come non udirono il tenue cigolio della porta che si apriva sulla cantina.
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Lyman aveva aperto gli occhi e, per un lungo attimo, non ricordava più dove si trovasse. La testa era pesante e la mente offuscata così come la vista. Ci mise un pò a rientrare nella realtà e a rammentarsi l’accaduto. Girò lo sguardo intorno alla stanza finchè vide, seduta su di una sedia di fianco al letto, Sarahel che si era addormentata tenendo ancora in grembo una tazza vuota che rischiava di scivolare a terra.
Faticosamente sollevò il capo dal cuscino e tentò di mettersi a sedere sul letto. Tutto girava vorticosamente e dovette chiudere gli occhi e attendere che il mondo si decidesse a fermarsi. Quando li riaprì si sentì un pò più sicura. La prima cosa che fece fu quella di prendere la tazza dal grembo della strega prima che finisse rovinosamente a terra svegliandola, e la posò su di un mobile lì accanto.
Poi, lentamente e silenziosamente, tentò di appoggiare i piedi per terra. Si sentiva ancora insicura e debole perciò ci mise un pò a ritrovare un pò di stabilità.
Si accorse solo ora che le avevano tolto gli abiti ed era vestita solo di una corta sottoveste. Sentiva freddo ma non voleva rischiare di fare ulteriore rumore cercando gli abiti per vestirsi, di soppiatto e furtivamente raccattò il piccolo playd posato sul letto e se lo avvolse intorno alle spalle poi, scalza, si avviò fuori dalla stanza.
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Lui taceva ma lei sapeva benissimo dove trovarlo. Era come se qualcosa di invisibile la tenesse legata a filo doppio a quell’essere che si era impossessato di lei. Lo aveva sentito dentro di sè e ne aveva assorbito i pensieri, i dolori, la rabbia e un’immensa disperazione…ora, guidata dalla necessità impellente di rivederlo, si dirigeva alla cantina attenta che nessuno la vedesse.
Dovette sorreggersi alle pareti per scendere le scale che portavano di sotto e per due volte le gambe parvero non volerla più sostenere e lei rischiò di cadere.
Quando giunse davanti alla gabbia stette per un pò in silenzio ad osservare quell’ombra immobile sul giaciglio. Sentiva in lei un’immensa pena, ma anche un grande affetto per quell’essere infelice che stava soffrendo in completa solitudine.
Grimlok intuì subito la presenza e si girò verso di lei. Il suo corpo aveva subito una notevole metamorfosi da come lo ricordava lei ed ora erano già abbastanza nitidi i tratti di un corpo umano. Il volto era ancora tumefatto e la bocca sembrava insanguinata. Ma le mani erano lisce e perfette e una folta capigliatura scura era apparsa dove prima vi era solo un capo orribilmente deforme e pelato. Le dimensioni del corpo si erano visibilmente ridotte ed ora mostrava una statura più naturale. Alla flebile luce accesa della cantina, Lyman giurò di aver visto qualcosa luccicare negli occhi di Grimlok, forse una lacrima… e un’immensa sofferenza si impadronì di lei.
Si guardò intorno per trovare la chiave che aprisse la gabbia e la vide subito, ben visibile sul tavolo. La prese e si accinse ad infilarla nella serratura.
“No, non farlo. E’ pericoloso”. Disse con voce rauca Grimlok.
Ma la ragazza non parve neppure sentirlo. Aprì il cancello ed entrò.
Si chinò davanti a lui e lo guardò negli occhi. Non sapeva definire ciò che sentiva dentro ma era come se potesse sentire le emozioni di lui, come se l’intera vita di quell’essere fosse, ora, dentro di lei e solo lei potesse comprenderne ogni piccola sfumatura…
Allungò una mano verso il suo volto e lo accarezzò. Lui si ritrasse quasi timoroso di un gesto così inaspettato.
“Attenderemo insieme l’alba. Non ti lascerò affrontare il resto del cammino da solo”. Disse Lyman.
“Vattene ti prego. Potrebbe essere pericoloso e non voglio farti del male”. Rispose lui.
“So che non me ne farai…” Così dicendo la ragazza si sollevò da terra e si mise a sedere sul giaciglio appoggiando la schiena al muro. Poi prese delicatamente il capo di Grimlok e lo posò sul suo grembo continuando ad accarezzargli i capelli e il volto. Ogni tanto il corpo di lui veniva scosso da violenti tremiti e dalla sua bocca uscivano gemiti strazianti.
Lei continuava a tenerlo abbracciato a sè in silenzio.
La notte sarebbe finita, prima o poi…
*****
Era da poco giunta l’alba quando Njmue scese in cantina a controllare. Era ancora all’ultimo gradino quando si accorse con terrore che la porta della gabbia era aperta. Già si aspettava che il demone fosse fuggito o, ancor peggio, stesse vagando per la casa mettendo tutti in pericolo.
Quasi non credette ai suoi occhi quando vide le due forme sopite sul giaciglio. Lyman si era addormentata e il suo capo era chinato da un lato. Abbracciava al grembo il volto di un uomo dalle fattezze perfette e dai lineamenti dolcissimi.
Dormivano così pesantemente che non l’avevano neppure sentita entrare e lei non sapeva se svegliarli per assicurarsi che Grimlok fosse tornato umano in modo totale.
Ma l’immagine di quelle due figure che aveva davanti le trasmetteva una serenità così grande che decise di lasciarli dormire.
Avrebbe atteso il loro risveglio.
Hirene
Hirene era stata abbandonata quando aveva solo dodici anni proprio da sua madre che, insieme a tutto il paese in cui era nata, non l’aveva mai accettata, perchè considerata figlia del demonio.
Era stata concepita in una notte in cui sua madre rientrando a casa a tarda ora, dopo un incontro d’amore col suo uomo, era stata assalita e violentata da un essere di cui non era riuscita nemmeno a vedere le fattezze, ma che in cuor suo aveva sempre saputo non essere umano.
Seppure la bambina era nata perfetta e bellissima e col passare degli anni aveva dimostrato anche un carattere dolce ed ubbidiente, la madre non mancava mai occasione per maltrattarla e riversarle addosso tutto il suo rancore, accusandola di essere figlia del diavolo e che, prima o poi, sarebbe bruciata all’inferno. Finchè un giorno la caricò in auto e l’abbandonò, lacrimante, alle soglie della foresta. Poi se ne andò e Hirene non la vide mai più. Ma non l’aveva mai rimpianta.
Ora Hirene era una meravigliosa ragazza di venticinque anni che era cresciuta, completamente sola, in una casa abbandonata in aperta campagna, lontana da tutto e tutti, lontana da un mondo che non l’aveva mai accettata.
Aveva imparato a fare tutto, compreso le ristrutturazioni di quel vecchio rudere che cadeva a pezzi rendendolo gradevole ed abitabile.
Si manteneva creando oggetti ricavati con il legno e che andava poi a vendere sul ciglio della statale percorsa dai turisti che attraversavano la regione per recarsi in altri luoghi. Gente solitamente gentile. Perchè non sapevano nulla di lei.
Con quei pochi soldi che raccimolava, si recava al paese vicino a quello in cui era nata, dove era più difficile incontrare gente che la conoscesse, e lì comperava le poche cose che le servivano.
Al resto ci pensava da sola. Coltivava il suo piccolo orto e accudiva alle sue galline così da avere sempre qualcosa di suo con cui cibarsi.Aveva giurato a se stessa, tanti anni prima, che non avrebbe mai avuto bisogno di nessuno.
L’unico amico che aveva, a parte gli animali selvatici, era un uomo anziano, sordomuto e con metà del volto orribilmente deturpato, che faceva la vita del barbone e chiedeva l’elemosina in città. Ogni tanto lui l’andava a trovare e l’aiutava a fare qualche lavoro pesante alla casa senza mai chiederle nulla in cambio se non un piatto di minestra.
Tante volte lei gli aveva chiesto di andare a vivere lì, in fondo la casa era grande e poteva prendersi una stanza tutta per sè. Si sarebbero aiutati a vicenda ed anche lei si sarebbe sentita meno sola. Dopo tanti anni che lo conosceva,di lui si fidava ciecamente. Ma l’uomo non aveva mai accettato. Si limitava a sorriderle dolcemente e a fare un cenno di diniego con la testa.
Hirene, pur non parlando mai con nessuno, sapeva benissimo cosa stava succedendo nelle città, come conosceva molto bene quegli esseri spaventosi che si aggiravano nella notte e che tutti temevano. Quelle forze oscure che stavano tentando di impadronirsi del mondo intero.
Lei stessa non capiva come facesse a sapere tante cose. Non aveva mai neppure imparato a leggere e, anche volendo, la conoscenza che aveva su queste cose, non si imparavano sicuramente sui libri.
La sua paura più grande era sempre stata quella di essere veramente figlia del diavolo. Ma allora perchè, se così fosse, non aveva dentro alcun istinto per il male?
Di fatto però c’era anche che nessuno si era mai avvicinato a lei, neppure questi esseri. A parte l’anziano barbone, nessuno proprio si era mai avvicinato alla sua casa. Come se anche le forze oscure, e non solo gli umani, le stessero deliberatamente a distanza.
Ma quella notte c’era qualcosa di diverso nell’aria e nonostante facesse di tutto per non ascoltare la pessima sensazione che sentiva dentro, non poteva evitare di avere paura.
Si era barricata in casa prima del tramonto, quando, solitamente, restava fuori fino allo scendere della prima oscurità.
Ora, davanti al caminetto acceso, tentava di scaldare il freddo che sentiva nelle ossa senza riuscirvi.
La notte era già scesa da tempo quando Hirene, mentre stava riponendo le vettovaglie dopo una semplice cena, sentì picchiare furiosamente alla porta.
Guardò dallo spioncino che lei stessa aveva inciso sullo spesso legno e vide il volto del barbone. Aprì subito il chiavistello e lo fece entrare.
L’uomo le si gettò addosso tentando di gesticolare e mimare qualcosa.
Lei non capiva e tentò di calmarlo ma non vi era nulla da fare. L’uomo sembrava in preda al terrore puro, infatti i suoi occhi erano dilatati e le sue mani tremavano.
Poi, improvvisamente lei sentì!
Ogni cosa intorno a lei sparì e fu come se si trovasse all’aperto, in mezzo ad una radura. L’orizzonte era oscurato da una gigantesca nube nera che avanzava velocemente verso di lei avvolgendo e cancellando ogni cosa sotto e tutt’intorno al suo passaggio.E mentre la nube si avvicinava cambiava continuamente aspetto fino a diventare un gigantesco pipistrello con due voragini al posto degli occhi ed una, immensa, al posto della bocca.
I piedi di Hirene sembrarono diventare di piombo e il suo respiro si ritirò a tal punto da farle sentire il senso di soffocamento.
Tentò di riprendersi da quello stato di deja vu che le impediva di capire dove fosse finita e con uno sforzo di volontà incredibile riuscì a rientrare nella realtà.
Si ritrovò con il barbone che ancora ansimava gesticolando come un matto. Lo guardò diritto negli occhi e gli disse:
” Dobbiamo andarcene subito di qui”.
Lui annuì terrorizzato con la testa e insieme si diressero fuori dalla casa e presero il sentiero che portava alla città.
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Zorah stava aggiustando un’imposta della casa alla debole luce di una lampada.
Imprecò quando, piantando un chiodo, gli sfuggì il colpo e si fece male a due dita della mano. Se le portò alla bocca e se le inumidì aspettando che smettessero di pulsare.
Si fermò per ascoltare qualcosa che gli pareva provenire da lontano. Drizzò le orecchie come potenziare l’udito. Tutto intorno sembrava silenzioso, ma lui sentiva che qualcosa si stava avvicinando, ed era qualcosa di molto pericoloso.
Scese dalla scala e si diresse velocemente in casa.
” Sta arrivando qualcosa di terribile, lo sento chiaramente!” Gridò agli altri.
Njmue e Lestat furono i primi a dirigersi fuori a guardare ma, nonostante i loro sforzi non sentivano nulla. Dovevano però dare credito a Zorah visto il suo potere di captare ogni entità invisibile.
Ognuno di loro aveva il suo compito in caso di attacco, così tutti devogliarono alle loro rispettive postazioni, non prima, però, di essersi procurati le loro armi.
Fatto questo spensero ogni luce e la casa sembrò diventare un luogo sinistro e abbandonato. Il silenzio la avvolse e tutti si misero di vedetta ad aspettare.
Hirene e il barbone correvano lungo il sentiero sperando di raggiungere la città prima che la nube li prendesse. Lei sapeva benissimo che se li avesse raggiunti li avrebbe inghiottiti e loro sarebbero diventati parte di quella cosa spaventosa.
Uscirono dalla radura e videro, ancora distanti, le prime luci.
Dovevano raggiungerla il prima possibile!
Qualcosa si mosse alle loro spalle e Hirene fece in tempo a voltarsi per vedere un’ombra nera, che si muoveva veloce su quattro zampe, e stava saltando loro addosso.
Tentò di avvisare il barbone che non aveva sentito nulla ma non fece in tempo. Deviò di scatto per sfuggire alla creatura e vide l’uomo cadere sotto l’enorme peso di quell’essere.
Purtroppo non potendo fare più nulla continuò a correre verso la direzione che aveva preso. Ormai non sentiva più il cuore nè le gambe, e la stanchezza si stava impadronendo di lei. Ma doveva continuare.
Alle sue spalle udiva ancora l’orrendo rumore di mandibole nell’atto di triturare carne e ossa e si immaginò la fine orribile che aveva fatto il suo povero amico.
Davanti a lei il nulla dell’immenso spiazzo verde della vallata. Non aveva più osato dirigersi verso la città e continuava disperatamente senza più sapere dove stava andando.
Di colpo sbattè contro qualcosa di invisibile. Non era come una cosa solida, ma densa, che le impediva di andare oltre. Non capiva cosa fosse e si sentiva come rallentata, nei movimenti, quasi in modo totale.
Poi il tutto svanì e lei, come per miracolo, vide una grande cascina circondata da alberi.
Non vi erano luci che indicassero che fosse abitata, ma le parve la sua unica salvezza.
*****
Tess e Lestat videro l’ombra che si avvicinava correndo e le andarono incontro. Era ancora distante e loro non riuscivano a distinguerne ancora le forme.
Poi la notte assunse un’oscurità strana, diversa. Le stelle e la luna sparirono e il buio diventò un immenso buco nero in cui non si vedeva nulla ad un palmo dal naso.
Hirene gridò quando inciampò in un sasso e finì stesa per terra.
Si udì un forte ruggito provenire dal cielo sopra di loro. Dall’oscurità più completa era apparsa una voragine di fuoco a forma di immensa bocca con due denti enormi e aguzzi che spuntavano ai lati.
Era come se il cielo stesso stesse gridando tutta la sua ira prima di ingoiarsi il mondo intero.
Tutti uscirono dal casale cercando di capire con quale mostruosità avessero a che fare e come potersi difendere.
Ci fu un attimo in cui restarono immobili, guardandosi intorno, come ipnotizzati ed impotenti .
Poi si cominciarono a udire degli scricchiolii sinistri provenire dalle fondamenta della casa, che pareva gemere sotto la morsa di qualcosa che la stava stritolando. I vetri delle finestre si frantumarono scoppiando all’esterno e spargendo frammenti ovunque e dalle mura iniziarono a staccarsi mattoni che cadevano fragorosamente a terra.
Un pezzo di vetro si piantò in una gamba di Njmue ed un altro raggiunse il braccio di Terenz. Dalle loro ferite il sangue iniziò a sgorgare copioso.
Grimlok, invece, ricevette un mattone in pieno capo ed ora riversava sul prato a bocconi.
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Intanto Hirene, completamente impossibilitata a vedere qualunque cosa, seguendo la scia delle voci, si era trascinata quasi vicino a loro,e con l’ultimo fiato che le era rimasto stava chiedendo flebilmente aiuto.
Mentre Lestat era corso in soccorso alla sua donna e tentava di tamponarle la ferita con un lembo di stoffa strappato alla sottana, Sarahel si avvicinò alla ragazza e l’aiutò a sollevarsi da terra.
” Dobbiamo andarcene subito di qui” gridò Emanuel. ” Ho provato a congelare la “cosa” ma non funziona!”
Njmue sentì nella mente la voce del figlio che la esortava a fuggire subito perchè non avevano alcuna possibilità di combattere quell’essere : ” Usa Tess, madre, fatevi portare via da lei”.
Come se anche Tess avesse sentito quelle parole, cominciò a chiamare tutti a raccolta gridando che l’unica loro speranza era quella di scomparire da lì immediatamente prima di essere tutti uccisi o inghiottiti.
Nel frattempo la casa si era quasi completamente sgretolata, gli alberi si stavano sradicando e interi pezzi di prato mescolati a terra svolazzavano ogni dove. In certi punti del terreno si erano aperte profonde voragini ed era diventato pericoloso anche muovere pochi passi.
Senza più perdere tempo, tutti si misero in cerchio prendendosi per mano mentre Tess già formulava il suo incantesimo magico per aprire la porta del tempo che li avrebbe trasportati nel passato.
Hirene era inebetita e stanca ma sapeva che quelle persone erano le uniche che potevano salvarla.
“Tutto accade per un motivo” pensò.
E lei non era sicuramente capitata lì per caso.
Dall’oscurità apparve un cerchio luminoso. Un vento impetuoso li investì e tutti si sentirono risucchiare all’interno di quello cha appariva come un gigantesco vortice nato dal nulla. Njmue ebbe un attimo di cedimento e sembrò lasciarsi andare a terra senza più forze, ma Lestat la sorresse e, nel momento in cui qualcosa di invisibile li afferrava, la sollevò tra le braccia e la strinse al suo petto.
Njmue chiuse gli occhi e si abbandonò alla stretta protettiva di lui. Il nulla li ingoiò e tutto parve svanire.
Continua…