Mago Merlino e Re Artù – Parte seconda
Nel 1959, nel corso di una campagna di scavi effettuata presso i resti di una villa romana in nord Africa, databile grosso modo allo stesso periodo in cui visse Artù, venne alla luce una grande urna marmorea. Su di essa era scolpita una croce e sul coperchio si potevano ancora notare alcuni fori che segnavano la sagoma di una croce, facendo intuire come un tempo vi fosse fissata una croce in metallo. Quasi certamente l’urna conteneva le spoglie mortali di un santo e veniva forse usata per santificare impegni e giuramenti, come siamo ancora abituati a fare oggi giurando sulla Bibbia. Un foro per le libagioni suggerisce inoltre un suo uso per qualche speciale rito.
Certamente anche Artù doveva disporre nella sua cappella di un bacile simile, sul quale consacrare in forma ufficiale i giuramenti dei suoi cavalieri. Qualora nel corso di una delle tante battaglie, questo oggetto fosse caduto nelle mani del nemico, ecco come, secondo Saklatvala, avrebbe potuto nascere il mito della cerca, della riconquista del Santo Graal.
Che dire, invece, a proposito di Merlino? È davvero un personaggio inventato di sana pianta da Goffredo di Monmouth? Dopo la Historia, Goffredo scrisse “Vita di Merlino”, un poema rivolto a un numero ristretto di lettori. Se Goffredo avesse inventato Merlino ci aspetteremmo che in questo secondo lavoro avrebbe raccontato le stesse cose già narrate nel primo o, per lo meno, che non le avrebbe contraddette. Merlino era molto più avanti negli anni che non Artù, visto che era un ragazzetto quando ancora era in vita re Vortigern e, stando a quanto testimonia san Gilda, Vortigern fece il grave errore di convocare i Sassoni in Inghilterra nel 443 d.C.
Accade però che nell’opera di Goffredo, Merlino è al servizio di un re di nome Rodarco, impegnato a combattere un re degli Scoti chiamato Guennolous, due personaggi storici senz’altro vissuti però ben cento anni dopo la presunta morte di Artù. Goffredo si rende conto di questo anacronismo e lo giustifica affermando che Merlino visse fino a tardissima età, certamente oltre il secolo.
L’impressione è però un’altra: che Goffredo abbia rinvenuto del materiale contraddittorio e che si sia sentito in obbligo di mescolare le carte per cercare di salvare le date in precedenza da lui avallate nell’altra opera. Secondo gli storici, l’inghippo verrebbe chiarito se si accetta la figura di Merlino come corrispondente a quella di un bardo gallese di nome Myrddin, di cui si sa che era ancora in vita nel 573 d.C. Il gallese si configurò in lingua solo dopo la scomparsa di Artù e così è impossibile che Myrddin possa essere stato più vecchio del grande, mitico sovrano. L’identificazione fra Merlino e Myrddin, viene ampiamente sottoscritta da Robert Graves nel suo studio mitologico fondamentale intitolato “La dea bianca” (1948) e da Nicolai Tolstoj in “The Quest for Merlin (1985).
A essere sinceri, parrebbe un’ipotesi errata, perchè non si riesce a capire come mai, se Merlino si chiamava così, ci si dovesse riferire a lui con un altro nome. (La giustificazione più comune sostiene che fu Goffredo a cambiargli nome, passando da Myrddin a Merlino, perché in francese merde significa “merda” e un mago di nome Myrddin avrebbe fatto ridere in un momento storico in cui l’Inghilterra era governata dalla Francia). Per di più Myrddin non avrebbe in alcun modo potuto conoscere Artù, perché quand’anche le loro vite si fossero incrociate, egli sarebbe stato un bambino all’epoca della morte del condottiero.
Per Geoffrey Ashe, Merlino è Myrddin e Goffredo di Monmouth lo ha fatto più vecchio di Artù, anche contro la logica imposta dalla storia, giocando su una licenza narrativa che gli tornava assi utile nell’economia della sua cronaca.Nel suo libro intitolato “Merlino” (1988), la professoressa americana Norma Lorre Goodrich respinge fermamente questa ipotesi, sostenendo che non solo Merlino è davvero esistito, ma che aveva 30 anni in più di Artù, anche se condivide l’idea che alcune avventure relative a Myrddin siano poi state convogliate nella storia della vita di Merlino. Secondo lei il Merlino di Artù era nato in Galles ed era morto in terra di Scozia. Infatti conclude dicendo che “merlino” non era tanto un nome (il merlino è un uccello rapace simile al falco) quanto un titolo e che il vero Merlino altri non era che un vescovo di nome Dubricio, quello stesso che aveva incoronato Artù re dei Britanni.
Myrddin, invece, era un “uomo selvatico dei boschi”, un poeta impazzito che amava vivere in luoghi sperduti, dotato di poteri magici spiccati. Ed è questo il Merlino di cui si occupa Goffredo di Monmouth nella storia della sua vita, un personaggio diverso da quello che compare nella Historia. Si tratta di un leader dotato di doti profetiche, divenuto pazzo dopo aver combattuto una battaglia contro gli Scoti e da quel momento datosi alla macchia profetizzando eventi futuri. Un aspetto importante del personaggio è la sua vena profetica. Non per nulla, prima della storia della sua vita, Goffredo aveva pubblicato un altro lavoro completamente dedicato alle profezie del grande mago, opera che in seguito aveva fatto convogliare nella successiva narrazione della vita.
È come se Goffredo avesse appreso dell’esistenza di Myrddin solo dopo aver scritto la Historia e avesse pertanto deciso in un secondo momento di identificarlo con Merlino.
Nicolai Tolstoj concorda con questa ipotesi e dedica la maggior parte del suo libro a tutte quelle leggende e a quelle storie che parlano delle avventure «dell’uomo selvatico dei boschi». Sembrerebbe, dunque, che esistano due teorie fra loro contrastanti: da una parte quella dei due Merlino, suggerita in prima battuta da Giraldo Cambrense; dall’altra quella di un solo Merlino, il cui vero nome era Myrddin, bardo e profeta gallese.
Tuttavia sia Goodrich che Tolstoj sostengono le loro teorie in modo così brillante e affascinante che è quasi un peccato optare per l’una piuttosto che per l’altra. A essere sinceri, comunque, la Goodrich ci pare più convincente a proposito della teoria del doppio Merlino e anche nel sostenere che il famoso mago era il primo consigliere di re Artù, sebbene anche Tolstoj abbia parecchio da dire sulla figura di Merlino mago.
Per comprendere appieno ciò che Tolstoj scrive, dobbiamo liberarci dalla immagine stereotipata che abbiamo del mago medievale, quella sorta di miscellanea che fonde insieme il Prospero di Shakespeare, il Gandalf di Tolkien, il Merlino, simpatico e amabile, di T.H. White. Sono tutte invenzioni recenti, perché in verità al tempo di Artù un mago era una combinazione fra un prete, uno stregone e uno sciamano.
Per avere un quadro credibile di un mago in azione, è utile dare un’occhiata a “A.Pattern of Islands”, il resoconto che l’autore, Arthur Grimble, fa dei suoi anni trascorsi alle Isole Gilbert nel sud del Pacifico. Egli racconta che volendo mangiare della carne di focena si era interessato per sapere dove poterne trovare. Gli era stato detto che sull’isola esistevano ancora gli eredi di coloro che erano considerati i cacciatori di focene. Un parente del suo informatore lo avrebbe condotto presso di loro. E così Grimble era stato invitato al villaggio, dove si stava celebrando una festa. Ad un tratto il capo tribù, un uomo grasso e bonaccione, si era ritirato nella sua tenda e vi era rimasto per alcune ore, mentre tutto intorno era sceso il silenzio.
All’improvviso l’uomo era uscito in stato di chiara agitazione, si era gettato a terra e aveva preso a gridare: «Stanno arrivando, stanno arrivando!». All’invito tutta la tribù si era precipitata di corsa verso il mare ed era rimasta in silenziosa attesa. In un attimo le acque si erano popolate di focene che si lasciavano cullare dalle onde. Erano come in uno stato di trance, tanto che i pescatori le traevano a bordo delle loro barche senza che opponessero alcuna resistenza. Giunti a riva le uccidevano senza problemi.
È provato che ipnotizzare un animale non è impresa impossibile e già si sa che la tecnica chiama in causa anche la telepatia; ma riuscire a ipnotizzare un intero branco di focene a distanza sembra davvero un po’ troppo! Ad ogni buon conto, assurdo o no, il fatto si verificava regolarmente, a dimostrazione che quella gente continuava a possedere antichi poteri che solo pochi uomini erano ancora in grado di governare.
Lo studio dei popoli primitivi ha ormai chiaramente dimostrato che i numerosi graffiti dell’Età della Pietra rinvenuti sulle pareti delle caverne in cui si scorge un uomo, uno sciamano, che sembra danzare vestito con pelli di animali, non sono affatto da intendersi come una sorta di arte paleolitica, bensì come la raffigurazione pittorica di speciali rituali magici appositamente inscenati per attirare le prede nelle vicinanze dei cacciatori, né più né meno come avevano fatto i cacciatori di focene davanti agli occhi esterrefatti di Grimble.
Nel bel libro “Wizard of the Upper Amazon” scritto da F. Bruce Lamb, si raccontano le esperienze di un peruviano, un certo Manuel Cordova, che rapito da piccolo dagli indiani Amahuaca era cresciuto presso di loro assimilandone la cultura. Lamb testimonia che i cacciatori primitivi di oggi non fanno altro che imitare ciò che i loro antenati preistorici già facevano migliaia di anni or sono. Fra i molti episodi, Cordova racconta come i cacciatori siano soliti ammazzare il capo branco di un gruppo di maiali selvatici e ne sotterrino la testa lungo il sentiero, nella ferma certezza che questo rituale costringerà il branco a ripassare ancora da quel passaggio. In un altro brano dalla drammatica sequenza, Cordova descrive le libagioni rituali, quando gli indigeni si riempiono di “hini xuma”, un liquore allucinogeno che chiamano “estratto della visione”, grazie al quale hanno visioni continue di animali come serpenti e uccelli. Ricorda anche che una notte un gigantesco leopardo apparve proprio nel bel mezzo della cerimonia, senza né spaventare né fare del male ad alcuno. Un’altra testimonianza significativa di un uomo che ha trascorso parte della sua vita fra popoli selvaggi, è il bel libro dal titolo “Mitsinari” (1954) di padre André Dupreyat, vissuto a Papua nella Nuova Guinea. Vi si parla dello stregone Isidoro che poteva trasformarsi in un casuario (una specie di grande struzzo) e, in quelle forme, era in grado di raggiungere in sole due ore luoghi montagnosi e lontani, normalmente raggiungibili in non meno di cinque giorni di cammino sostenuto.
Il padre narra di alcune disavventure patite con gli stregoni locali, i quali gli avevano mandato il malocchio del serpente. Un potente maleficio che aveva attecchito, tanto è vero che in breve tempo era stato morsicato a più riprese da rettili. (Un fatto strano, se si considera che sono i serpenti i primi a allontanarsi appena vengono disturbati dalla presenza dell’uomo).
Ecco perché è sbagliato continuare a immaginare un mago alla stregua di un personaggio di Walt Disney, con un cappello a punta tutto trapuntato di stelline. I veri maghi ricordano molto da vicino i moderni medium spiritici, perché, come loro, sostengono che i poteri giungono grazie all’intervento di spiriti. Molti maghi moderni sono convinti che il potere e la forza per governare gli spiriti siano accessibili solo tramite la celebrazione di rituali, che vanno officiati e consumati con grande attenzione e puntigliosità. Per tradizione, il ruolo riconosciuto di stregoni, uomini-medicina e sciamani è quello di intermediari fra l’essere umano e il mondo spirituale e la loro funzione prioritaria è quella di garantire alla tribù una buona caccia e un ricco raccolto.
Anche i sacerdoti Druidi dei Celti appartenevano a questa categoria di maghi. Il druidismo, come sappiamo, era una forma di religione naturalistica, approdata in Britannia attorno al 600 a.C. a seguito delle migrazioni dei Celti. Ma, per essere precisi, molte forme di religione spontanea già esistevano in loco, come per esempio le ritualistiche legate al sito di Stonehenge, un vero e proprio tempio magico, perfettamente allineato in terra con le stelle in cielo. Secondo Nicolai Tolstoj, Merlino può considerarsi “l’ultimo dei Druidi”. Il druidismo venne introdotto nel Galles dai Celti, riuscendo a sopravvivere anche per molti secoli dopo che il cristianesimo aveva imposto la sua legge sulle Isole Britanniche.
Tolstoy sottolinea che le storie relative a Myrddin – specialmente quelle che contemplano la figura del bardo Taliesin – sono piene zeppe di collegamenti che uniscono magia e druidismo. Ricorda, per esempio, i sacri alberi delle mele (che i Druidi veneravano in boschetti sacri) e i “famigli”, gli animali alleati come il maiale o il lupo. Lo accosta al grande dio cornuto della mitologia pagana.
Per Tolstoj è la “foresta di Calidon” il luogo che accoglie Merlino ormai impazzito, una macchia boschiva in Scozia, nei pressi di Hart Fell, nel punto in cui nascono i fiumi Annan e Clyde. Sempre stando a Tolstoj, Merlino tenne anche fede alla sua profezia nella quale aveva previsto la sua stessa morte, che sarebbe avvenuta per percosse, impalamento e annegamento. Infatti, dopo essere stato picchiato dai pastori, era scivolato nelle acque del fiume Tweed ed era rimasto infilzato in un palo prima di annegare.
Goodrich preferisce abbracciare la storia tradizionale, nella quale Merlino viene ucciso da una donna di nome Ninian o Nimue, la Dama del Lago (chiamata anche Viviana), di cui si era follemente innamorato e alla quale aveva rivelato tutti i suoi segreti di magia. La donna però lo aveva sempre rifiutato e alla fine, tramite un potentissimo incantesimo, lo aveva condannato a restare sepolto vivo in una grotta racchiusa da una grande roccia.
Un altro autore segnala che a suo avviso Nimue altri non era che la santa cristiana Nimue e che la storia del suo trionfo finale su Merlino rappresenta in chiave simbolica la vittoria della Chiesa sul paganesimo.
Come già ho anticipato, i due bei libri di Nicolai Tolstoj e Norma Lorre Goodrich sono ricchi di storie complesse e intricate, capaci, nel loro formidabile insieme, di lasciare chi legge in una condizione che potremmo definire di “confusione illuminata”. Ma alla fine, il quadro che ne viene fuori è quello di un re Artù realmente esistito, uno dei più grandi condottieri dell’epoca medievale, consigliato da un Merlino concreto e vitale, sciamano e druido.
I due personaggi lasciarono dietro di loro un’impronta così straordinaria che, sin da subito dopo la loro morte, le avventure della loro vita erano entrate a far parte di una consistente mitologia, via via sempre più ricca. Tanto che la leggenda aveva addirittura superato la realtà, così da non consentire più di discernere fino a che punto le imprese di questi due eroi (vissuti fra il 450 e il 550 d.C.) appartenessero al mondo della realtà o a quello della fantasia. Una cosa però sembra potersi accertare sempre, ogni qual volta si indaga sul loro mistero: essi furono personaggi realmente esistiti.
(Fonte: Misteri e Leggende-by Jonny U.D.)