La maledizione dei Faraoni
L’nizio della Leggenda
Nella notte tra il 4 ed il 5 aprile 1923, un uomo sta delirando in una camera di un hotel di El Cairo. Il suo viso è stravolto, gli occhi spalancati ed una febbre altissima lo sta spossando. Farfuglia parole incomprensibili, fino a quando dice chiaramente:
“E’ finita, ho sentito il richiamo e mi preparo”.
Nello stesso momento, tutta li città del Cairo, piomba nel Buio. Quando l’infermiera che assisteva quell’uomo arrivò nella camera, si accorse che le sue cure non erano necessarie. Nello stesso istante a Londra, un cane ulula alla Luna, quasi percepisse la morte del suo padrone a parecchi chilometri di distanza, e poi si accascia a terra privo di vita, senza alcun spiegabile motivo. L’uomo che morì in tali e misteriose circostanze era: George Edward Stanhope Molyneux Herbert, quinto Earl of Carnavon. Il nome con il quale era meglio noto, era semplicemente Lord Carnavon, il finanziatore, fautore e instancabile cercatore della Tomba di Tutankhamun. Nella sua ricerca, il Lord, fu aiutato da un altro grande uomo di archeologia: Howard Carter.
Le vicende che hanno portato alla scoperta dell’unica tomba pressoché intatta, risalente all’Egitto faraonico esulano dal tema che si intende approfondire; ci basti sapere che la tomba fu scoperta il 4 novembre 1922, ma venne ufficialmente aperta il 18 febbraio 1923. Sull’entrata della tomba, vi era un iscrizione in geroglifici che recitava:
“la morte sfiorerà con le sue ali colui che disturberà il faraone …”
era così nata la leggenda.
Prime manifestazioni della Maledizione
Essa non tardò a manifestarsi, in modo platealmente sinistro. L’apertura della tomba aveva richiamato non pochi interessati, fra essi alcune case di moda che volevano realizzare una linea ispirata ai reperti, le trattative che iniziarono con un nulla di fatto, si conclusero con il lancio di una nuova linea a Londra, nel marzo del 1924. chi ha seguito Lord Carnavon durante le trattative, lo ricorda nervoso, cupo ed insolitamente assente; si lamentava spesso per un puntura d’insetto che gli procurava un prurito da non lasciarlo riposare. Poco tempo dopo, sul collo gli si formò una piaga che si infettò, costringendolo a ritirarsi al Cairo, dove nella notte tra il 4 ed il 5 aprile morì, nelle circostanze che abbiamo ricordato. E’ ovvio che gli scettici obietteranno che non vi è alcun mistero, poiché è naturale che in posti torridi come il deserto, una puntura d’insetto possa infettarsi e degenerare. Tra l’altro lo stato di salute di Lord Carnavon, non era affatto buono, era sempre stato cagionevole e il suo apparato respiratorio era piuttosto carente. Eppure il mistero c’è… E’ una coincidenza che la morte di lord Carnavon sia avvenuta poco dopo la scoperta ufficiale della tomba? Non sarebbe stata certo la prima volte che storie simili davano il destro a tutta una serie di superstizioni. Una di queste vale la pena di ricordarla, se non altro per la fonte da cui ci proviene: Sir Arthur Conan Doile, il creatore di Sherlock Holmes.
Lo scrittore raccontava che il figlio di un certo sir Ingram, durante degli scavi, ritrovò una mummia egizia con un amuleto che riportava la non rassicurante minaccia:
“chi mi toccherà sarà condannato ad una morte vicina ed il suo corpo non verrà mai seppellito”.
Ebbene, la storia continua con la morte del giovane Ingram durante una battuta di caccia, e, cosa più sorprendente, il suo corpo fu trascinato via per non essere più ritrovato da un’improvvisa quanto inaspettata piena di un fiume vicino. Tornando alla morte di Lord Carnavon, particolare da non trascurare è l’improvviso black-out che ha coinvolto l’intera città del Cairo; un’inchiesta aperta dall’agenzia elettrica egiziana non ha trovato spiegazione alcuna dell’evento… come, del resto, per l’analogo fatto di New York del 1965 per il quale vennero chiamati in causa i “marziani”. Così gli amanti dei misteri cominciarono a tessere una fitta tela di straordinarie coincidenze: tanti piccoli eventi passati inosservati, riemergevano con sinistra singolarità arricchendo il mito della maledizione. Si ricordi il canarino di Lord Carnavon, che posto nei pressi della prima porta della tomba venne repentinamente divorato da un cobra che si infilò tra le sbarre della gabbia (n.b. il cobra è il simbolo dello spirito protettore del corpo del faraona). Poi è la volta del cane di Lord Carnavon, vittima di una morte quasi inspiegabile, poiché esso dopo innumerevoli ore passate ad ululare alla luna, nella notte tra il 4 ed il 5 aprile del 1923, si accasciava al suolo nel momento stesso in cui spirava il suo padrone.
Un particolare? Cane e padrone erano a più di 2.000 km di distanza. L’unico che non sembrava aver paura della maledizione era Haward Carter. Ma quali sono le altre morti più o meno misteriose, legate alla scoperta della tomba di Tutankhamun?
Altre morti attribuite alla Maledizione
Quasi tre anni dopo la scoperta della tomba, proprio quando anche i mistici (coloro che credevano alla maledizione) diminuivano, ecco che la maledizione fa risentire la sua oscura presenza.
Ecco le principali morti di quel tempo:
-sei mesi dopo Lord Carnavon, moriva suo fratello minore;
-poco dopo l’infermiera che l’aveva assistito all’Hotel del Cairo;
-qualche tempo dopo muore Richard Bethell colpito da una TBC fulminante;
-quindi è la volta di Lord Westbury suicida all’età di settanta anni senza un apparente motivo;
-Evely White, che lavorava con Carter all’inventario della tomba, fu progressivamente colpito da una depressione che lo spinse al suicidio, lasciò solo un biglietto con su scritto: “soccombo ad una maledizione che mi costringe a scomparire”;
-Archibald Douglas Reed, morì improvvisamente dopo aver radiografato la mummia di Tutankhamun;
-Arthur Mace morì di TBC poco tempo dopo l’apertura dei sarcofagi;
-Benedite, il conservatore del museo del Louvre morì nel 1926 pare a seguito di una congestione;
-La Fleur, un parente di Carter morì poco dopo aver visitato la Valle dei Re;
-un ministro egiziano, di cui è stato taciuto il nome morì per cause mai chiarite dopo aver visitato la tomba.
I fatti bellici della seconda guerra mondiale, tacitarono i mistici, ma la maledizione dei faraoni torna nuovamente a far parlare di se nel 1959, quando Mohamed Zacharia Groncim si suicida dopo aver scoperto la piramide di Saqqara. Alla luce di tutto, certo, non è facile parlare di maledizione, poiché lo stesso Carter, morì 17 anni dopo la famosa scoperta, ma vero o menzogna che sia, è giusto e doveroso riportare le varie teorie che tentarono di far luce sul mistero della maledizione.
Una Teoria minore: combustione dei residui psichici
Questa originale teoria, è stata portata avanti da un egiziano Khalid Messiah. Secondo i suoi studi, le mummie non sono completamente morte, ma hanno in se una qualche energia vitale, irrimediabilmente negativa per l’uomo moderno. Questo egiziano era anche radioestesista, sfruttando questa scienza ha compiuto parecchi esperimenti. Nel corso di questi ha potuto constatare che ogni qualvolta utilizzava il pendolo su una mummia, una profonda stanchezza si impadroniva di lui; una volta fu addirittura ritrovato in uno stato simile al coma e vi restò per parecchi giorni. Egli cita anche il caso di un suo compatriota che all’apertura di una tomba fu colpito da un grave malessere che si manifestò in tosse, febbre e starnuti. Messiah attribuiva questi eventi ” alla combustione dei residui psichici prigionieri nella tomba, delle energie stagnanti che ripetono automaticamente i ritmi della vita che hanno registrato”.
Questa affermazione è alla base della prima Grande Teoria mirata a spiegare la Maledizione dei Faraoni.
Prima Teoria: Radioattività
Altri occultisti, ritengono responsabile della maledizione la Radioattività. Questi, iniziano la spiegazione della loro teoria partendo da due prove, secondo loro, conclusive e senza tema di smentita. Queste prove sono date da due misteriosi naufragi, avvenuti a circa un secolo di distanza l’uno dall’altro.
Il primo naufragio: gennaio 1823
Nel 1821, un prussiano di nome Von Minutoli è in Egitto con l’italiano Segato, per esplorare la piramide a Gradoni di Saqqara, quella di re Gioser. Percorrendo gli angusti corridoi, riesce a raccogliere una gran quantità di oggetti funerari, amuleti e suppellettili varie. La scoperta più importante risale però al 7 ottobre del 1822, quando scopre un sarcofago spezzato con dentro una mummia non ancora identificata. E’ un gran colpo, e il generale prussiano Von Minutoli, decide di caricare tutto su una nave e salpare dall’Egitto. Le autorità egiziane cercano di dissuaderlo, non volendo perdere reperti di così grande importanza. Uno dei responsabili egiziani, però, ammonisce Von Minutoli dal portare con se la mummia dicendogli queste inquietanti parole:
“Lei corre un grave pericolo. Sono già accaduti parecchi incidenti: tutti coloro che hanno trasportato mummie hanno avuto gravi sciagure”.
Von Minutoli, ovviamente, non crede a queste che definisce superstizioni ed il 3 gennaio 1823, la nave con il suo carico di reperti ed il corpo mummificato prende il largo. Il 10 gennaio 1823, Von Minutoli, che era rimasto in Egitto per proseguire le ricerche, apprende che la nave era misteriosamente sparita al largo di Malta, con condizioni di mare normali. Il carico, il corpo non furono mai più recuperati.
Il secondo naufragio: TITANIC, 14 aprile 1912
Il 14 aprile del 1912, il Titanic, al suo primo viaggio da Londra a New York, urta un iceberg e cola a picco insieme a circa 1700 persone. Molte inchieste aperte, ma nessuna è riuscita a spiegare lo strano comportamento del capitano Smith. Era un esperto uomo di mare, la rotta Londra New York, per lui non aveva particolari segreti. Eppure il suo comportamento quel giorno, palesava un nervosismo oltre i limiti, come se fosse condizionato da qualche forza misteriosa o da un presentimento. Non trovando spiegazioni plausibili, ecco che giornalisti avidi di copie, cominciarono a tessere una trama sorprendente. Al momento del naufragio il Titanic trasportava oltre a 2200 passeggeri, e numerose quantità di viveri di ogni genere, anche una mummia egiziana. Questa mummia apparteneva alla collezione inglese di Lord Canterville, che la trasportava a New York per una mostra sui tesori egizi. Era una mummia di una veggente, ricoperta da numerosi amuleti, tra i quali un amuleto raffigurante il dio Osiride, con la seguente iscrizione:
“Svegliati dal sonno in cui sei piombata; lo sguardo dei tuoi occhi trionferà su tutto quello che viene intrapreso contro di te”.
Inoltre dato il valore immenso del reperto si preferì non sistemarlo nella stiva. Fu sistemato in un baule di legno e deposto proprio dietro il ponte di comando. A questo proposito, ed in riferimento al naufragio analogo di circa un secolo prima, nacque la teoria della radioattività avanzata da un giornalista John Newbargton:
“Fu questa mummia che provocò la follia del capitano Smith. Munita senza dubbio di un sistema di protezione a base d’irradiazioni radioattive, essa guastò anche tutti gli strumenti del Titanic”.
Lo stesso giornalista sostiene che gli egiziani, già dai tempi dell’Antico Egitto, erano molto abili nella estrazione, lavorazione ed utilizzo dell’uranio. Questa stravagante ipotesi è affermata anche da un fisico spagnolo che riteneva che gli antichi egizi, avessero scoperto i poteri dell’Uranio e lo utilizzassero per proteggere i loro templi, piramidi e simili. Secondo questo studioso hanno ricoperto i pavimenti di lastre di uranio, o hanno applicato alcune di queste lastre alle pareti, per causare – ancora oggi – o la morte o gravi lesioni fisiologiche.
Gli Egizi conoscevano l’Uranio?
Secondo i sostenitori della teoria della Radioattività, gli egizi conoscevano bene l’Uranio per un semplice motivo: l’uranio a volte si trova nelle stesse rocce in cui si trova l’oro; gli egizi erano grossissimi estrattori d’oro, quindi nulla vieta di pensare che insieme all’oro estraessero anche uranio. Vi sono numerosi papiri, tra i quali uno conservato al museo di Torino, che attestano la presenza di miniere d’oro nel territorio Egizio. Tempo fa furono trovate delle tavolette d’oro che ad un attento esame vennero definite come lettere, nelle quali veniva richiesto il quantitativo d’oro per costruire un tempio intero. Quindi anche nel passato, gli egizi erano noti per le immense quantità d’oro possedute, su queste basi la tesi che anche casualmente si siano incontrati con l’uranio e che cominciarono a conoscerlo, studiarlo e controllarlo, non appare più tanto infondata.
La seconda teoria: Infezione Virale
Una seconda tesi è senza dubbio più diffusa. Essa attribuisce i nefasti esiti della maledizione all’azione di un virus. Essa si muove dalla constatazione che tutti gli scienziati, archeologi, medici o professori che hanno partecipato direttamente od indirettamente alla esumazione della mummia del faraone Tutankhamun, sono stati colpiti da una sintomatologia piuttosto analoga: prurito, irritazione della pelle, bruciore di gola, infezione alle vie respiratorie così diffuse da interessare, a volte, laringe e bronchi. Anche Carter ne soffriva, sebbene il suo fisico piuttosto forte non ne fu fatalmente segnato. I medici interpellati all’epoca, non potendo distinguere di cosa si trattasse, parlarono di Malattia Coopta. Nel 1962 due medici egiziani, nell’esaminare i resti di una mummia coopta, isolarono un virus ancora vivo ed attribuirono ad esso le cause delle strane morti. Ma un altro scienziato era di un parere opposto, affermando che le morti erano da attribuirsi alla Q-fever, frequente negli ambienti chiusi e polverosi e che era improbabile che dei virus potevano restare in vita per tutti quei millenni. Di certo c’è soltanto che tutti coloro che ebbero a che fare con tombe mummie e scoperte analoghe, nel giro di poco tempo accusarono disturbi medesimi, ma pochi di essi morirono. La morte sopravveniva, a quanto pare, in coloro che avevano un fisico piuttosto fragile, come quello di Lord Carnavon.
La terza teoria: Histoplamosis
Una terza teoria, di matrice sudafricana, chiama in causa i pipistrelli. La storia di questa teoria, prende le mosse nel 1955, anno in cui una società incarica uno speleologo di effettuare alcune rilevamenti in una caverna, alla ricerca di guano di pipistrello ritenuto un ottimo fertilizzante. Lo speleologo per parecchi giorni si introdusse nella grotta portando a termine il suo lavoro. Quando si apprestò a raggiungere la sua famiglia, durante tutto il viaggio in treno, cominciò ad avvertire un malessere generale. Poco dopo, sentì un forte bruciore al petto, oppressione sui bronchi con conseguente difficoltà respiratorie. Arrivò a casa che quasi non si reggeva in piedi, venne sorretto fino al letto e di lì a poco le sue condizioni peggiorarono al punto di raggiungere uno stato pre comatoso. Furono molti i medici che vennero interpellati, ma nessuno di essi riuscì ad inquadrare il caso clinico entro gli schemi delle malattie fino ad allora conosciute. Finché un medico ebbe un intuizione.
Si ricordò di una malattia di cui aveva appreso nozione durante un convegno, tale malattia denominata HISTOPLASMOSIS, pareva che colpisse senza eccessiva frequenza proprio gli speleologi. Il medico fece gli opportuni prelievi ed inviò i campioni ad un centro di analisi sollecitandone la risposta. Il responso fu positivo: era HISTOPLASMOSIS,ed il paziente guarì con della penicillina. A questo punto il medico, valutando i casi della presunta maledizione in rapporto ai sintomi della HISTOPLASMOSIS, notò che molte delle morti imputato alla maledizione furono invece causate dalla malattia. Tale malattia, però, era trasmessa o causata, dai pipistrelli e, dopo tutto, nelle tombe antiche c’era di tutto ma di pipistrelli nemmeno l’ombra. Si chiamarono in causa dei funghi, portatori, più o meno, della medesima malattia ma la teoria aveva perso di fascino e poco tempo dopo si spense.
Quale verità?
A questo punto, non si sa di preciso quale teoria abbia realmente colto il segno. Chi è incline alle visioni mistiche e misteriose sarà senz’altro attratto da quella che attribuisce agli egizi la conoscenza della radioattività o da quella relativa ai poteri psichici delle mummie. Chi invece, dispone di un animo più incline alle spiegazioni plausibili oscillerà verso quelle teorie che chiamano in causa virus, batteri e funghi. Ma se la verità fosse un’altra? Se la verità fosse prettamente di matrice occulta? Se fosse intrisa di forti ascendenze magiche? Chissà. C’è stato qualcuno che ha affermato che le mummie portano in se una sorta di
“segreto primordiale”.
Questo qualcuno è Ra-Mak-Hotep, un adepto dei misteri di Osiride. Nel corso di un’intervista rilasciata nel 1939, egli parla di una setta segreta di cui si pregia di far parte, che istruisce gli iniziati ai segreti di Osiride:
“Questa setta non avrà fine se nonquando terminerà l’umanità stessa”.
I misteri di Osiride
Egli parla di un lungo processo di iniziazione suddiviso in 7 gradi che conduce alla
“soglia della conoscenza”.
Innanzitutto vi è un digiuno di qualche settimana che è preludio al primo grado di iniziazione. In questo grado il candidato viene esortato, attraverso varie prove, alla meditazione sul dio della vita e della morte. Superata questa prova, nella quale il candidato deve dimostrare la sua devozione, viene avviato verso un altro digiuno, per condurlo al secondo grado. Nel secondo grado, il candidato deve dare prova di resistere alle tentazioni della carne, rimanendo indifferente alle carezze di belle donne. Il terzo grado consiste nell’introduzione dell’adepto nella camera della morte dove viene indottrinato dai maestri imbalsamatori. Con questi resterà circa due anni, dopo i quali dovrà superare il quarto grado, che consiste nella
“battaglia delle ombre”.
Il quinto grado consiste in una rappresentazione teatrale, nella quale viene descritta l’importanza e la pericolosità del fuoco come elemento primordiale. il sesto grado consiste nella iniziazione del candidato ai misteri dell’astronomia, nel corso di questo grado viene svelato al candidato l’elenco di tutti gli adepti sparsi per il mondo. Si arriva così al settimo grado, che consiste nell’incorporazione dell’adepto nell’ordine e nello svelare a questo ogni segreto, tra questi il più importante: la chiave di lettura del libro dei sarcofagi e delle mummie.
“Il libro dei sarcofagi e delle mummie” e “la maledizione dei Faraoni”
Sempre nel corso dell’intervista rilasciata da Ra-Mak-Hotep, gli viene chiesto se è a conoscenza di particolari elementi che potrebbero far luce sulla maledizione. Ra-Mak-Hotep rispose indirettamente dicendo:
“coloro che aprirono le tombe dell’antico Egitto hanno liberato sul mondo forze pericolose. Gli archeologi, così i razziatori di un tempo, hanno involontariamente portato alla luce le tombe di persone che si dedicavano alla magia nera”.
Continua raccontando la degenerazione dei costumi che avvenne in Egitto, poi aggiunge altri particolari al suo racconto.
” […] certe mummie sono tuttora sorvegliate da spiriti malefici [..] ecco perché gli archeologi che aprono le tombe lo fanno a loro rischio e pericolo. […] è un pericolo che pesa sull’intera umanità […] questi spiriti malefici, creati artificialmente, sono stati liberati nel corso di questo secolo in numero tale da terrorizzare il mondo”.
Spiegò poi che inizialmente venivano creati solo poteri benefici, in relazione alle tombe dei grandi faraoni, poi – con la decadenza dei costumi egizi – i maghi divennero ambiziosi e avidi di potere e cominciarono a snaturare le loro conoscenze, creando questi spiriti maligni, che misero, in misura sempre maggiore, anche a tutela delle tombe. Le rivelazioni di Ra-Mak-Hotep continuano, scostandosi almeno apparentemente dall’argomento della maledizione dei faraoni.
I non morti in alcune, inaccessibili, tombe egizie
Secondo Ra-Mak-Hotep alcuni adepti vissuti nell’antico Egitto, sarebbero ancora in vita in uno stato simile al trance, in alcune tombe inaccessibili sparse per l’Egitto. Questi adepti, avrebbero una doppia percezione della realtà: come uomini e come spiriti. A prima vista sembrerebbero imbalsamati, ma in realtà nessun organo interno è stato loro tolto. Sono in attesa del momento opportuno per ritornare in vita. Ma può essere vero un simile discorso? Vi sono prove a riguardo? Ra-Mak-Hotep sostiene che sono molti gli adepti che, in simile stato di trance, lavorano per il bene dell’umanità; addirittura ve ne sono alcuni che sono in questo stato da circa 10.000 [sic!]. L’unica cosa certa, al giorno d’oggi, è che utilizzando determinate tecniche tipo yoga, autoipnosi o ingerendo droghe, è possibile restare sepolti per qualche settimana, per poi essere miracolosamente ricondotti in vita. Nel 1946 si compì – con un fachiro – un esperimento del genere. Il fachiro rimase per 17 giorni (tempo da lui stabilito), sottoterra. Quando fu riesumato aveva l’aspetto di un cadavere, ma dopo aver praticato sul suo corpo alcuni riti – come da lui stesso lasciato per iscritto – si risvegliò perfettamente normale, senza riportare alcun danno fisico o fisiologico. Ma 17 giorni, sono un’esiguità di tempo in confronto ai 10.000 anni di cui ci parla Ra-Mak-Hotep.
Verso una conclusione?
La maledizione, rimane ancora senza spiegazioni o – sotto un altro punto di vista – ne offre molte e varie, quasi a voler accontentare tutti i gusti. Rimane, forse, solo un punto da analizzare: le mummie. Perché gli egizi praticavano questa antica arte funeraria? Era solo il modo per garantire al defunto illustre, la vita eterna o era il retaggio dell’incontro con un’antica cultura, più antica della storia stessa del mondo? Forse, è una forza occulta, persa nel tempo, dimenticata dalla storia eppure così discretamente il luce, che sta alla base di questo grande rito, che consegno davvero all’immortalità i misteriosi protagonisti di queste vicende. Uomini, animali sacri, sacerdoti, tutti uniti da un unico filo: parole magiche scritte con affascinanti segni, riti precisi ed importanti, amuleti e pietre protettive, tutto per conservare oltre ogni limite di tempo ponderabile, un corpo, svuotato dalle sue viscere e coperta da preziose bende di lino.
Mummificazione ed Atlantide
Secondo alcuni studiosi tedeschi, russi, francesi o americani, l’arte dell’imbalsamazione è stata introdotta in Egitto da alcuni sopravvissuti alla strage di Atlantide. Secondo questi studiosi è possibile spiegare questa teoria – affascinante – partendo da alcune constatazioni. Sia gli Egizi, sia i Maya e gli Incas, hanno da sempre imbalsamato i loro morti nonostante queste tre civiltà siano ai lati opposti dell’oceano. Questi studiosi – a dimostrazione delle loro tesi – mettono sul banco una serie di somiglianze sorprendenti. Innanzitutto le scritture di queste civiltà, basate sui geroglifici, dei quali circa tredici sono praticamente simili nelle forme e a quanto pare nel significato. La religione per certi aspetti – ma forse questa è una forzatura – mostra dei miti ricorrenti in dette civiltà. Anche il culto per alcuni simboli risulta identico: lo scarabeo, si incontra spesso sia in Egitto e sia in territorio Maya. Secondo questi studiosi, queste somiglianze non possono essere frutto del puro caso, ma rivelano una traccia comune, cioè un embrione culturale identico.
La fine della corsa
Eccoci arrivati al traguardo, ma senza alcuna certezza. La maledizione resta soltanto un’idea, che è possibile provare e confutare allo stesso tempo, con gli stessi elementi. Qualunque sia la verità, resta un fatto importante: che il fascino dell’ignoto, dell’inspiegabile, del misterioso che, indipendentemente da ciò che si crede, impregna tutta questa vicenda, sollecita le menti più inclini alla ricerca e meno legate ai canoni accademici, e chissà se un giorno questa continua ricerca, questo continuo scavare per cercare qualcosa, non ci porti l’unica vera e sola soluzione, o avallando una delle teorie già esposte o spiegandone finalmente un’altra definitiva. Chissà, dunque… nell’attesa ci resta soltanto di ammirare un popolo, una civiltà, che ha voluto per forza essere immortale, riuscendo appieno in quest’impresa visto che noi, dopo 5000 anni circa, ne parliamo ancora senza nemmeno conoscere tutta la verità.
( fonti: Archivio MMnews)