Il viaggio della strega bambina- Viaggio 2
Viaggio 2: la traversata
Annotazione 11 (marzo? 1659)
Il tempo buono e i venti favorevoli si sono mantenuti. I marinai hanno lodato il Pastore finché abbiamo passato la fine della terraferma, dicendo che le sue preghiere avevano funzionato, ma la notte io ho sognato benedizioni di altro genere. Lungo tutta la costa ho visto donne sopra alture, su altipiani scoscesi e ripidi promontori, che facevano la guardia al nostro passaggio. Alcune erano in piedi, con lunghi capelli al vento e braccia tese. Altre sedevano sulle rocce con lo sguardo fisso, come regine sul trono. Ho sognato di essere abbastanza vicina da vedere i loro volti. Sapevo che erano state mandate qui da mia madre, che aveva sparso la voce per proteggermi. Io sono sua figlia e lei è la più potente delle streghe.
Annotazione 12
Trentasei passi di lunghezza per nove di larghezza. Questo è il ponte di coperta. Quattordici passi di lunghezza, otto di larghezza, questo è il locale dove viviamo. E qui è tutto il mio mondo. Pensavo che la nave fosse più grande la prima volta che l’ho vista, ma più andiamo al largo nell’oceano più sembra piccola, finché non si ridurrà a un guscio di noce, come una nave di folletti circondata dal grande mare verde.
Il capitano Reynolds è alloggiato in una piccola cabina a poppa della nave, sotto coperta. I marinai si sistemano con la loro roba dove possono. Le cabine private sono poche. Ci sono anche altri passeggeri e noi siamo stipati come aringhe in un barile, solo che il pesce salato avrebbe un profumo più dolce, specialmente quando i portelli sono chiusi. Il reverendo Elias Cornwell è uno dei pochi ad avere una cabina per sé. È un piccolo spazio, ma tutto suo: un gran lusso a paragone di noialtri. È talmente afflitto dal mal di mare che le preghiere del mattino sono tenute da uno degli Anziani.
Non è il solo; molti altri sono ugualmente spossati. Martha è molto occupata con loro e io l’aiuto. Il reverendo Cornwell non ha moglie né altra parente, perciò spesso tocca a me provvedere alle sue necessità. Non ne sono entusiasta: so qualcosa di erbe e guarigioni, ma curare i malati non mi piace.
La sua cabina sa di rancido, di vomito e di bugliolo. C’è una piccola finestra con un’anta scorrevole di legno, che apro immediatamente. Sotto la finestra c’è uno scrittoio ribaltabile. Di solito è fissato alla parete, ma di tanto in tanto è tirato giù e coperto di cose per scrivere. Al di sopra c’è uno scaffale di libri, e altri libri sono in un baule aperto ai piedi del letto. Sono soprattutto opere religiose, commenti della Bibbia e raccolte di sermoni; qualcuno in inglese, altri in latino.
Li stavo esaminando, per vedere se c’era qualcosa di interessante, quando sentii una voce provenire dal letto. Sobbalzai, più per la sorpresa che per l’imbarazzo. Il reverendo Cornwell di rado si accorgeva della mia presenza.
«Sai leggere?»
«Sì, signore. Inglese e un po’ di latino. E so scrivere».
«Chi ti ha insegnato?»
«Mia nonna, signore».
Si drizzò a sedere sul letto per guardarmi meglio. La sua faccia aveva il colore della cenere al di sopra della camicia da notte, i capelli sottili incollati alla fronte.
«E lei cos’era?»
Mi rivolse uno sguardo tagliente. Mantenni un’espressione limpida, ma sentivo qualcosa che pulsava nella gola.
«Una semplice donna di campagna, signore».
«E sapeva il latino?»
«Gliel’aveva insegnato sua nonna».
Non aggiunsi che lei, a sua volta, era stata istruita dalle suore, e che noi avevamo molti dei loro libri, salvati dalle mani degli uomini di re Enrico.
«Come ti chiami?»
«Mary, signore».
«Portami dell’acqua».
Andai a riempire il suo boccale.
«Conosci la Bibbia?»
«Sì, signore. Mia nonna mi ha insegnato anche quello».
Lui annuì e poi la sua testa ricadde sul cuscino come se qualunque sforzo fosse troppo per lui.
«Scrivi bene? Hai una bella mano?»
«Sì, signore. Abbastanza buona. Perché me lo chiedete?»
«Potrei aver bisogno di te. Intendo tenere un resoconto di questo viaggio».
«Volete dire come un diario?»
Mi lanciò un’occhiata come se non avesse mai inteso nulla di così frivolo.
«Un resoconto. Un libro dei Prodigi, una cronaca degli atti della Provvidenza divina».
«Come l’andatura che teniamo?» chiesi.
La nave stava procedendo a una velocità eccellente. Molti pensavano che questo fosse il segno che la divina Provvidenza era già al lavoro. Anche ora sentivo le onde sibilare contro la fiancata. Le grandi vele sbattevano sopra di noi. Mi puntellai mentre la nave beccheggiava, al cambiamento del vento. Lui non rispose, si limitò a chiudere gli occhi e ad appoggiarsi all’indietro, con la pelle verdastra e madida di sudore.
«Vorrei scrivere, ogni giorno, come procediamo» disse alla fine, «ma in questo momento sono troppo debole anche per tenere la penna».
«Volete che scriva per voi?»
Annuì, ma non riuscì più a parlare e dovette piegarsi sul secchio accanto al letto.
Annotazione 13
Ogni giorno sono chiamata nella cabina del reverendo Cornwell, o per riferire su eventuali miracoli, o per scrivere. Non ci sono miracoli, almeno non ancora. Le nostre vite sono regolate dalla luce e dal buio. Le giornate sono riempite dalle attività di cucina, dalla cura dei malati e dei bambini, dalla pulizia della nostra parte di nave. Il reverendo Elias non vede miracoli in questo, perciò scrivo le altre sue meditazioni. Sono molte e dettagliate, i pensieri gli ronzano intorno come mosche sul letame. La sua cabina è piena di un tipico odore acido e non vedo l’ora di andarmene, ma non ho altra scelta che restare e scrivere finché la mente non mi duole dalla noia e le dita non sono nere d’inchiostro.
Quando non scrivo per il reverendo Cornwell aiuto Martha. La vita a
bordo è dura per tutti. Molte famiglie sono imparentate fra loro e occupano diverse zone della nave: i Symond, i Selway e i Pinney verso prua, i Vane, i Vale e i Garner a poppa, i Rivers, i Dean e i Denning nel mezzo. Martha conosce tutti, ma io quasi nessuno, tranne Jonah e Tobias Morse che occu-pano lo spazio accanto a noi. La gente tende a stare con chi già conosce. Ho scambiato cenni e sorrisi con Rebekah Rivers ma, anche se lei parla senza problemi con Martha, sembra avere soggezione di me. Martha sta curando il mal di mare di Sarah, la madre di Rebekah. Molti soffrono ancora tanto e Martha è molto occupata.
Jonah l’aiuta, è un farmacista. Lui e suo figlio Tobias sono di fede puritana, ma non della nostra comunità. Sono saliti a bordo a Londra. Jonah è un uomo piccolo, vivace e cordiale, dalla pelle scura, con acuti occhi neri sotto le folte sopracciglia grigie. I capelli, o quello che ne resta, sono anch’essi grigi e incorniciano la testa pelata. È veloce e preciso nei movimenti, e ha mani minute e bianche come quelle di una donna. Ha un grosso baule progettato con ingegno, pieno di piccoli cassetti e scomparti in cui conserva ogni tipo di rimedi, bottiglie di vetro e ceramica, tutte im-pacchettate perché non si rompano. Provando pena per quelli afflitti dal mal di mare, offre un decotto di sua creazione che, assicura, può alleviare i sintomi e portare una veloce guarigione. L’ho detto al reverendo Cromwell, ma lui ha rifiutato qualsiasi rimedio. La sua pena è una prova mandata da Dio, come quella che Egli inviò al profeta Giobbe. Martha pensa che sia una sciocchezza. Lei ha la capacità di guarire e la riconosce negli altri, e pensa che il maestro Morse e il suo baule ci saranno utili, non solo sulla nave ma anche in America.
Vicino al padre, il figlio Tobias fa un grande contrasto, con la carnagione chiara e gli occhi azzurri, alto e largo di spalle. Ha circa diciannove anni ed è carpentiere, appena uscito dall’apprendistato. È tranquillo e di poche parole. Lui e suo padre condividono l’interesse per le cose meccaniche, ma la somiglianza finisce lì.
Jonah ha viaggiato molto. È stato in Russia, al servizio dello zar, e in Italia, dove dice di aver conosciuto il grande Galileo. Ha una quantità di storie da raccontare. Martha raccomanda di prendere tutto con le pinze, anche se non vedo ragione di non credergli. Ha un cannocchiale con cui studia le stelle e spesso porta le coperte sul ponte e dorme li con i marinai. Sa molte cose sulla navigazione e sugli strumenti usati per calcolare la nostra rotta, ed è uno dei pochi passeggeri cui è permesso avvicinare il capitano. Lo raggiunge nelle silenziose ronde alla luce delle stelle e percorrono insieme il ponte, con gli occhi al cielo, mentre Jonah prende nota delle differenze nella volta celeste. La luna nuova appare più piccola da qui, e la stella polare è molto più in basso di quanto si vede in Inghilterra.
Annotazione 14 (aprile? 1659)
Ho visto il mio primo grande Prodigio.
Ero sul ponte con Jonah. Ci passo più tempo che posso; la vita sottocoperta sta diventando impossibile: in quello spazio limitato gelosie, rivalità, perfino odii mettono radici e sbocciano a una strana velocità, come piante in una serra. Scoppiano litigi per qualsiasi ragione. Mi sono guadagnata rimbrotti e scherno per non so cosa da ragazze che nemmeno conosco.
Il capitano ci permette di stare sul ponte per quanto lo consente il tempo, e noi non interferiamo con il lavoro della nave. I marinai dicono che siamo fortunati: certi comandanti tengono i passeggeri confinati giù per tutto il viaggio, come gli schiavi dall’Africa. Io ringrazio il cielo ogni volta che posso lasciare l’oscurità affollata del nostro alloggio comune con il suo puzzo di vomito e latrina, cibo rancido, lana bagnata e corpi non lavati. Sono felice di lasciare lo strepito dei bambini che piangono, delle voci che litigano e urlano, per il costante sciacquio e tonfo delle onde contro la fiancata.
Jonah e io stavamo guardando i delfini che nuotano e si tuffano a fianco della nave. Non sono loro il Grande Prodigio. Ci accompagnano da molti giorni e non sono più una cosa degna di nota. No, quello che ho visto era in cielo, non in mare. Un enorme uccello che volava sopra di noi in pigri circoli, con le ali che si muovevano appena, entrando e uscendo dal sole, come se apparisse e sparisse per magia. I marinai lo indicavano a bocca aperta, e io l’ho guardato finché gli occhi non mi hanno fatto male. Era un uccello degli oceani del Sud, hanno detto i marinai, difficile da vedere a queste latitudini.
Jonah ha chiesto di saperne di più. Ama raccogliere informazioni su argomenti diversissimi. Loro hanno detto che doveva essere stato spinto fuori rotta, probabilmente da una tempesta. I marinai sono molto superstiziosi e vedono segni ovunque. Hanno discusso a lungo se questo fosse un presagio buono o cattivo. Una sola cosa li ha messi d’accordo. Quando Nathaniel Vale ha preso il suo fucile da caccia e ha sparato un colpo al grande uccello, sperando di avere carne fresca, è stato come se avesse mirato al capitano. I marinai sono saltati su e gli hanno strappato di mano il fucile, poi hanno alzato lo sguardo, spaventati. Colpire quell’uccello avrebbe portato una grande sfortuna.
Il colpo era andato a vuoto e l’uccello era incolume, ma ci ha lasciato, descrivendo un ultimo grande arco e volando via nell’immensità dell’oceano. Una delle sue piume è caduta dalle sue grandi ali: immacolata, con la punta nera. È rimasta impigliata nel sartiame proprio sopra la mia testa.
L’ho afferrata prima che potesse farlo qualcun altro. Sarà eccellente per scrivere, meglio di quella che finora ho usato per questo mio diario. Ho strappato i filamenti dall’estremità e l’ho tagliata a forma di pennino. Ho trovato un posto tranquillo per scrivere. È asciutto, al riparo dal vento e dagli spruzzi; lo usano per conservare cime e vele di riserva e cose simili, ed è poco frequentato.