Il viaggio della strega bambina- ann. 21-22-23-24
Annotazione 21
Il bambino si chiamerà Noah. Due giorni dopo la sua nascita, due piccoli uccelli sono venuti sulla nostra nave. Uno sembrava un piccione, l’altro un merlo, ma più grande. Entrambi erano uccelli di terra. Era un segno, mandato dal Signore stesso, così ha detto il reverendo Cornwell. La compagnia ha recitato i ringraziamenti e John Rivers ha deciso di chiamare il bambino Noah per l’occasione.
Il vento è sostenuto e soffia da nord est. Il capitano ha ordinato di spiegare le vele. La nave mantiene la rotta, procediamo spediti e ci aspettiamo di vedere terra da un giorno all’altro.
Annotazione 22
Noah sta bene, ma sua madre ancora no. Lui viene nutrito da un’altra madre che sta ancora allattando il suo bimbo. Martha ha alcune erbe che ho portato a Rebekah. Il loro infuso può aiutare sua madre a guarire.
Annotazione 23 (maggio-giugno? 1659)
Ieri il grido ‘Terra! Terra!’ fece correre tutti sul ponte e per poco la nave non si rovesciava. Un ragazzo, i capelli biondi che brillavano al sole, scivolò lungo un cavo dal punto dov’era di vedetta. Saltò ai piedi del capitano, che aveva già staccato dall’albero maestro la moneta d’argento promessa in premio per il primo avvistamento. Il ragazzo prese la sua ricompensa, la fece roteare in aria e se la mise in tasca, sorridendo con i denti bianchi nel viso scuro.
Mi affacciai con gli altri per vedere la terra: appariva come una linea scura all’orizzonte, sembrava quasi un banco di nubi; man mano che la nave si avvicinava, però, si mutava in solide colline e scogliere rocciose, contro cui si frangevano le onde bianche.
Siamo molto più a nord di quanto dovremmo, ma la vista della terra, di qualsiasi terra, è benvenuta dopo tanti giorni nell’oceano aperto. Elias Cornwell si fece avanti, con l’idea di celebrare una funzione di ringraziamento, ma dal cassero di prua tuonò la voce del capitano.
«Vi sarei grato se sgomberaste il ponte. I miei uomini devono lavorare. Non siamo ancora arrivati, parroco, e questa è la costa del Diavolo».
Elias Cornwell aprì bocca per protestare, il viso pallido divenuto rosso per l’imbarazzo di essere liquidato in quel modo ed essere chiamato ‘parroco’, ma il capitano si voltò, dando l’ordine di scandagliare e di calare la scialuppa. A bordo la parola del capitano è legge. Elias Cornwell condusse il suo gregge sottocoperta, per celebrare lì il servizio.
Non li seguii. Pensai che la mia assenza non sarebbe stata notata e rimasi a guardare la terra: la linea frastagliata delle scogliere s’innalzava, forte e aspra, ininterrotta per miglia e miglia. Rabbrividii. Sarebbe dovuta apparirmi come la benvenuta, ma non era così. Riflettevo su quanto era desolata. Brulla e vuota.
«Non è un bello spettacolo, eh? Dopo tanti giorni in mare».
Mi voltai e vidi accanto a me il ragazzo che per primo aveva avvistato la terra e si era guadagnato lo scellino del capitano.
«Sembra ostile. Minacciosa».
«Ah, lo è. Non vorrei mai dover attraccare qui. La costa è traditrice: non si può far avvicinare la nave, le rocce possono tagliare il fondo». Strinse gli occhi guardando la riva. «E anche se attraccassi, non troveresti altro che una terra desolata piena di selvaggi». Si voltò verso di me. «Tu sei la ragazza che ha salvato il bambino. Dicono che era morto e che tu gli hai risoffiato la vita dentro».
«Non ho fatto niente del genere» dissi, negando subito ogni accenno alla magia. «Gli ho solo liberato la bocca e il naso perché potesse respirare».
«Mica volevo offendere. È solo quello che si dice…» scrollò le spalle e cambiò argomento. «Non vai con gli altri?»
Accennò al ponte sottocoperta. Voci di preghiera e ringraziamento si levavano tra le assi.
«No. Preferisco stare sul ponte».
«Non ti do torto». Sorrise, mostrando i denti bianchi. «Puzza laggiù, eh? Non mi meraviglia che preferisci stare qui. Ti ho visto spesso, nelle belle giornate».
«Anch’io ti ho visto. Sei il ragazzo che bada ai polli di Martha».
Martha aveva portato con sé le sue galline e il galletto. Una donna che ha dei polli non avrà bisogno di nient’altro, questa era la sua opinione, ma non aveva fatto i conti con il fatto che i marinai avrebbero cercato di rubarli. Molti sono sopravvissuti, grazie alle cure di questo ragazzo, ma vengo-no tenuti sul ponte e la recente tempesta non è stata clemente con loro. Sono raggomitolati insieme in gruppi disordinati, occhi velati, le penne rigide e incrostate di sale. Non emettono nemmeno un suono. Se mai creature hanno desiderato la terraferma, queste sono loro; perfino il gallo non canta più.
«Esatto» rise il ragazzo. «Se non era per me sarebbero spariti tutti giù per la gola di qualcuno».
«Non vorrei essere al suo posto se Martha lo scoprisse. Io sono Mary. Mary Newbury. Martha e io viaggiamo insieme».
«Jack Gill» tese la mano. «Al tuo servizio».
Strinsi la mano che porgeva. Il palmo era ruvido e calloso. Voltai la sua mano e scoprii che la carne era tagliata e aperta. L’acqua salata era entrata nelle ferite e le aveva fatte diventare piaghe bianche, che non guarivano.
«Ti posso dare una pomata per questo».
«Ce l’abbiamo tutti. Non è un problema». Ritrasse la mano ed esaminò un profondo taglio sulla pelle tra il palmo e il pollice. Accennò con la testa alle voci che provenivano da sotto i nostri piedi. «Martha non è tua parente?»
Scossi la testa.
«Nessuno degli altri?»
Scossi di nuovo la testa e lo guardai sorpresa.
«L’avevo capito». Si afferrò alle cime sopra la sua testa. «Te ne stai da parte. Più spesso sola che in compagnia».
«Sono stati tanto gentili da accogliermi e offrirmi un posto, ma…»
«Sei un’orfana».
Annuii.
Non tenni conto di una madre che avevo perso subito dopo averla trovata.
«Anch’io». Si dondolò in avanti in quella specie di altalena di cime. «I miei genitori sono partiti per la Virginia. Mio papà aveva sentito che si potevano fare i soldi coltivando tabacco, ma ha preso la febbre ed è morto, e mamma l’ha seguito. Ho dovuto badare a me stesso».
«Non hai pensato di tornare a casa?»
«In Inghilterra?» Scosse la testa. «Non sarei il benvenuto. Sarei solo un’altra bocca da sfamare. Non ho più casa lì, come te, ci scommetto. Ho avuto un posto come mozzo su questa nave e ora la mia casa è qui». Stringendo forte le funi si sporse in avanti sull’acqua che sibilava. «Il mare». All’improvviso sorrise. «Il mare è la vita per me. Ho fatto su e giù per questa costa, scambiando tabacco e zucchero di canna e rum con pellicce e merluzzo sotto sale. Poi di nuovo in Inghilterra, Francia e Spagna. È un commercio in crescita. C’è da fare soldi».
Lo guardai e lui sorrise, come se mi leggesse nel pensiero.
«Anche per quelli come me. Ho accumulato una sommetta portando
pacchi e lettere. Quando ne avrò abbastanza comprerò quote di un carico, legna, pellicce, rum o tabacco. Lo venderò a Londra e userò i soldi per comprare stoffa, ferro, attrezzi, pentole e altre cose utili. Li vendo e compro di nuovo, e così via». Gli brillavano gli occhi mentre descriveva il traffico disegnando un cerchio nell’aria. «Poi, quando ne avrò abbastanza, io…»
La sua voce fu quasi sommersa da un’improvvisa ondata di canti proveniente da sotto i nostri piedi. Cantavano un salmo senza accompagnamento; il suono era stridulo, alto e fervente.
Jack rise. «Molto pio, il gruppo, eh?» La tipica voce tenorile di Elias Cornwell sovrastava le altre. «Il capitano odia i preti più delle streghe». Si guardò intorno e abbassò la voce, come per confidare un segreto. «Ne abbiamo una a bordo».
«Come lo sai?»
«Succedono strane cose».
«Come la tempesta, dici? Ma di sicuro capitano spesso, in mare…»
«Non dico quello, Mary». Scosse la testa. «Intendo altre cose. Dopo la tempesta una grande luce si è posata sull’albero maestro» lanciò un’occhiata all’albero sopra le nostre teste, «illuminando tutto come una grande candela, ma senza calore». Stese il braccio. «Nemmeno da bruciacchiare una manica. Lo chiamano fuoco di sant’Elmo, e si vede di rado. Qualcun altro lo chiama fuoco di strega, e dicono che è lo spirito della strega. E non solo questo. Si dice che c’è una lepre a bordo, o un coniglio…»
«Un coniglio! E come può essere?» risi. «Come ha fatto a saltare a bordo senza essere visto? Dove sarebbe andato a vivere?»
«È una cosa seria! Non ridere! Un coniglio a bordo porta sfortuna!»
«Non ci credo». Scossi la testa, ridendo. «Dev’essere il gatto della nave».
L’avevo visto prendere di mira i polli di Martha, un grosso felino dall’aria cattiva, con il muso pieno di cicatrici e le orecchie tutte accartocciate.
«Può darsi». Jack non era convinto. «Ma c’è chi dice che è una strega travestita. Alcuni dei ragazzi vengono dalla Cornovaglia e credono che qui ci sia qualcosa». Aggrottò la fronte. «Riconoscono una strega più in fretta dei cacciatori di streghe. Dicono che siamo stati osservati da Plymouth fino alle Colonne d’Ercole».
Le sue parole andarono a segno. Non ero stata la sola a sentire occhi su di noi, ma solo io sapevo chi stavano sorvegliando.
«Non ho sentito nulla tra i passeggeri».
Mantenni un tono leggero, cercando di sembrare ancora allegra, anche se il solo pensiero mi faceva morire. Avevo sperato di evitare i sospetti, senza pensare che potevano seguirmi perfino attraverso l’oceano.
«E non lo sentirai. I marinai hanno le loro superstizioni, diverse da quelle della gente di terra. Quello che è strano per noi non lo è per voi, come un prete a bordo o una donna che fischia. Le navi sono posti strani. Non sono solo il vento o la tempesta che ci mettono in agitazione. Il capitano andrebbe su tutte le furie se scoprisse che c’è qualcuno che mette in giro queste voci. Gli darebbe una bella frustata.
«E poi» aggiunse scrollando le spalle, «le cose ora vanno bene». Si afferrò al blocco di legno sopra la sua testa e guardò la bella giornata; nella vela maestra c’era proprio la giusta quantità di vento per far scivolare la nave sugli spruzzi. «È quando le cose non vanno che la gente cerca qualcuno a cui dare la colpa».
Avevo torto. Le voci di strani accadimenti durante la tempesta avevano raggiunto il locale sottocoperta, mi disse Martha, e c’era stato un gran parlare di qualche creatura selvaggia a bordo. Ma Jack aveva ragione: la paura monta e cala, come le onde sotto di noi. Quando eravamo immobili tra i ghiacci, la mente del reverendo Cornwell era corsa immediatamente alla stregoneria, e chissà cosa si sarebbe detto se la tempesta fosse durata di più; ma ora il sole splende e la terra è in vista. I venti sono favorevoli. L’occhio di Dio ci guarda con benevolenza. Ci scaldiamo nella Sua Provvidenza. Sono salva. Per ora.
Annotazione 24
Ho il potere, non ci sono dubbi. Qualsiasi cosa abbia potuto sperare, non posso sfuggire al mio destino. Quello che è successo oggi me l’ha dimostrato.
La giornata era bella ed ero sul ponte a parlare con Jack. Non lo cerco (comunque la pensi Martha), ma nemmeno evito la sua compagnia. Aveva poco da fare e chiacchieravamo del più e del meno, quando all’improvviso sentimmo grida dall’alto. Pensai che qualcuno fosse caduto fuori bordo, perché dalla fiancata della nave giunse forte il rumore di un tonfo in acqua.
Jack mi prese per mano, ridendo del mio allarme. Mi guidò su per il ponte inclinato, dicendomi: «Vieni a vedere».
Sulle prime non vidi nulla, solo un gran ribollire nell’acqua. Poi riuscii a distinguere qualcosa di scuro sotto le onde. Era così grande che pensai fosse un’isola. La sagoma enorme sembrò emergere verso di me e vidi incrostazioni di conchiglie bianche sulla sommità. Ricordai cosa aveva detto Jack a proposito della costa traditrice e mi tirai indietro, temendo che fosse una roccia. Se l’avessimo urtata sarebbe stata sicuramente la fine.
Libera dalla massa del mare, l’acqua scorreva sulla superficie della gobba lucida e nera, e all’improvviso ci fu uno strano suono sibilante e uno sbuffo di vapore partì verso l’alto, così rarefatto che attraverso di esso brillò un arcobaleno. Sentii un forte puzzo di pesce e vidi una bocca, curva in uno strano ghigno perpetuo, poi la creatura sparì rapidamente e misteriosamente come era apparsa. Un leviatano. Un grande pesce, come quello che nella Bibbia inghiotte Giona. Sembrava abbastanza grande da divorarci, con la nave e tutto. Un altro grande Prodigio per il libro di Elias.
«Non ci farà alcun male». La grande coda sbatté sull’acqua e Jack si sporse dal parapetto per osservare la creatura che scendeva negli abissi di smeraldo. «Non c’è da aver paura. Guarda laggiù, ce ne sono altre».
Guardai dove indicava ed ecco che grandi fontane d’acqua spuntarono da altre immense creature. Malgrado la loro enorme massa, potevano guizzare fuori dall’acqua, ricadendo con grandi spruzzi e colpi delle potenti code ricurve.
«Non ho mai visto pesci del genere».
«Non sono pesci» disse Jack. «Sono balene. Hanno il sangue caldo e non hanno branchie. Respirano come te e me attraverso i buchi nella testa».
«Io non respiro attraverso un buco nella testa».
«Allora il tuo naso cos’è? E la tua bocca?»
Risi. Non l’avevo mai vista in quel modo.
«Un giorno gli darò la caccia». Fece finta di lanciare un arpione oltre la sponda. «Avrò la mia nave e assumerò uomini per dare la caccia alle balene, perché ce ne sono in abbondanza e ci si può guadagnare una fortuna…»
Si appoggiò al parapetto e osservò le grandi creature che nuotavano intorno a noi. Forse era lo scintillio del mare, ma i suoi occhi sembravano pieni di monete.
Il sole era caldo e la nave silenziosa, a parte il cigolio delle sartie e il sibilo del mare, sotto. Anch’io fissai l’acqua e la superficie luccicante mi ricordò la scodella che mia nonna usava per predire il futuro. La gente veniva a consultarla e lei riempiva una scodella d’acqua pulita. La fissava e le visioni arrivavano da sé; alcune mostravano il passato, altre ciò che doveva accadere. Anche se lei pensava che io avessi la capacità di vedere, non ci avevo mai provato. Non era mai successo prima. Mentre guardavo, vidi.
Le scene vennero in ordine sparso, non in successione.
Un ragazzo, poco più di un bambino. Sta in piedi sulla porta aperta di una rozza capanna di legno. Il suo viso è triste, i suoi capelli biondi sono sporchi e spettinati, e ricadono sugli occhi azzurri privi di ogni allegria. Resta fermo per un momento, incerto. Si guarda indietro nei recessi oscuri della capanna, poi raddrizza le spalle e si avvia per il sentiero rosso e polveroso. Cammina a testa bassa, senza guardare né a destra né a sinistra mentre attraversa i campi pieni di strane piante con grandi foglie cadenti. Le piante sono più alte di lui e sono disposte a file. Anche se non le ho mai viste so che si tratta di tabacco. Tra le foglie luccica un grande fiume. Una piccola barca è legata a uno stretto pontile, sembra un giocattolo poggiato su uno specchio appannato. Il ragazzo sale sulla barca, mollando la cima, e il fiume porta via la barca, facendola roteare come un ramoscello nella corrente.
L’immagine svanisce e ora vedo un giovane adulto. Porta una giacca nera, abbottonata fino al collo bordato di pelliccia. È a testa nuda, e il suo casco di capelli chiari brilla nel pallido sole invernale. È sulla riva di un altro fiume. L’acqua è grigia, lenta, viscida e fredda. Questo fiume scorre attraverso una grande città. Gli edifici si affollano sulla riva e circondano il ponte che porta dall’altro lato. L’uomo ride, con i bianchi denti lucenti. In mano ha una borsa gonfia d’oro.
Lo vedo più vecchio, con addosso una giacca blu da capitano. È in piedi a prua di una barca lunga e stretta. Ci sono uomini ai remi, altri accovacciati in avanti, come cani che puntano tutti nella stessa direzione. Impugnano armi con punte uncinate, bastoni di legno assicurati a lunghe corde. Alle loro spalle una nave è all’ancora, con le vele ammainate. Intorno a loro altre barche solcano il mare increspato, a caccia della balena.
Le acque ribollono. Un’enorme testa arrotondata spunta, con la bocca aperta e i denti in vista. Gli arpioni pendono come aghi da cucito dal fianco grigio della creatura. Provocata al limite della furia, la grande balena si volta con un colpo della sua enorme coda e si lancia contro i suoi torturatori. Nuota a tuffi poderosi, sollevando onde come una nave a vele spiegate. Poi il mare si calma. L’equipaggio si guarda intorno, chiedendosi dove sia andata la preda, ed essa emerge proprio sotto di loro, come se avesse segnato il punto esatto. Balena e barca scompaiono in un turbinio di spuma insanguinata. Gradualmente il mare si calma. Pezzi di legno galleggiano sulla superficie, ma non c’è traccia degli uomini.
«Che c’è? Che succede? Cosa ti affligge? Stai male?»
Ero tornata al presente e sulla mia spalla c’era la mano di Jack, ferita e callosa, ma pur sempre la mano scura e agile di un ragazzo. Scossi la testa. «Niente». Avevo visto il suo passato. Avevo visto il suo futuro. So come la morte lo coglierà e sento il peso della conoscenza. La nonna diceva di non svelare mai il modo in cui qualcuno morirà. Non serve e non può evitarlo. Quel che sarà sarà, ma saperlo troppo presto darà un colore scuro alla vita di una persona, portandone via la luce.
Jack mi guardava, con gli occhi azzurri brillanti e perplessi. Sapevo che avrebbe fatto altre domande, perché è scaltro e sveglio, ma proprio allora il capitano si mise a urlare: «Ehi, tu! Jack! Non ti pago per perdere tempo a chiacchierare con le ragazze! Datti da fare o assaggerai la frusta!»
Jack saltò su, lasciandomi sola, e ne fui felice, perché avevo molto su cui riflettere. Le visioni erano arrivate spontaneamente, come succedeva a mia nonna, ma il dono non viene da lei. Viene da mia madre. Questa è arte di un altro livello, al di là del potere di mia nonna. La sento che mi avvolge le spalle come un pesante mantello.